Rie Rasmussen e Jamiel Debbouze
Come si può vivere in una delle capitali più attraenti e pulsanti del mondo e non godere di conseguente ricchezza e felicità ? Questo è il dilemma assai bizzarro che Andrè (Jamiel Debbouze) un estroverso americano,forse algerino o chissà altro ancora,pare chiedersi. Sommerso dai debiti,inseguito da loschi figuri, prigioniero delle proprie bugie e meschinità il piccolo uomo giunge in fondo ad un vicolo cieco senza speranza di venirne fuori. Essere ucciso o togliersi la vita non fa differenza in questa tremenda città che per lui equivale ad una trincea melmosa di ultimo grado nel mondo. In vena di scelte propende per la seconda ipotesi avendo per scenario la Senna e l’uso di uno dei suoi celebri ponti per la triste impresa. Con ironia del destino c’è un’altra persona che sta per compiere appena vicino il medesimo gesto,anzi…no è lì per salvarlo ! Angela (Rie Rasmussen) è una ragazzona risoluta,forse un po’ battona che cerca di smuovere la vita e la coscienza del povero Andrè con insegnamenti mirati. Può farlo con straordinaria risolutezza perché è nientemeno un angelo caduto in terra con lo scopo di far emergere in lui nella chiave speculare la propria dimensione interiore,originale ed affascinante.
Luc Besson
Certamente Angela è un progetto di perfezione ma subisce l’effetto e il ricordo traumatico di precedenti esistenze,provocando qualche incertezza nel suo funzionamento tutto da verificare. Luc Besson scrive e dirige una commedia poliedrica che sfiora il dramma ma vola anche verso lidi fantastici caricando con se un bagaglio di buona ricerca spirituale. Parigi e il suo fiume,i suoi monumentali ponti in bianco e nero furono l’idea di partenza per narrare un altro tentativo di suicidio. Quella volta nel ’99 fu Patrice Leconte con
La ragazza sul ponte ad imbastire un travaglio esistenziale e filosofico fra Daniel Auteil e Vanessa Paradis. Il film di Besson al contrario,analogia logistica a parte,segue tutt’altra strada preferendo uno stile differente e una sceneggiatura più variegata. In filigrana ritroveremo molte delle tematiche care all’autore di
Subway e
Leòn. Si concretizza un’attenzione diretta senza allusioni verso la marginalità,le tensioni e i soprusi dettati dall’ambiguità. Si mette in scena il desiderio giusto,sovente dichiarato,onde rappresentare la voglia di un riscatto. Non manca lo sguardo prospettico di scorgere un avvenire in forma di redenzione da costruire momento per momento passando per forti ribellioni personali (
Nikita, Il Quinto elemento).
una scena da 'Angel-A'
Angela perciò non è un film in palese contraddizione produttiva con la filmografia precedente dell’autore francese. Senz’altro è una pellicola di natura squisitamente intimista ma a differenza del genere codificato,Besson riesce ad inserire nel livello intuitivo un’espressività tumultuosa e
spettacolare che lo spettatore può riuscire a cogliere come se aprisse un ideale file compresso,decifrabile e funzionale nel contesto relazionale dei nostri protagonisti. Thierry Arbogast fotografando nei toni grigi le locations parigine, costruisce sfondi volutamente ingessati che imprimono un netto stacco con le gesta di Angela e Andrè,innescando di conseguenza in esse una marcata sensazione di astratta realtà. Un microclima stilistico che Besson risolve egregiamente dirigendo al top Jamel Debbouze e Rie Rasmussen. L’abilità di portare una storia ai confini del cinema fantastico fa emergere qua e là vellutate citazioni visionarie che rimandano al Jean Vigo di
Atlantide. Sono appariscenti nelle frange del plot reminiscenze di materia Wendersiana. Perchè come nel
Cielo sopra Berlino,l’Angelo è messaggero di temi universali ed irrazionali che debbono congiungersi con i piccoli,probabilmente immensi,dubbi raziocinanti della vita. Potranno divenire una nuova sorgente per lenire un’incauta ferita e mai saranno disgiunti da inestinguibile amore.
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