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Diamanti: Tutte le donne di Ozpetek
Il genere femminile come un inno del regista che vuol omaggiare il colore
Storia consolatoria e compiaciuta si fa carico di un pensiero senza coraggio

Kasia Smutniak, Una delle protagoniste di Diamanti
Kasia Smutniak, Una delle protagoniste di Diamanti
Raccontare portando in emersione caratteri e peculiarità della sua origine lontana (ma non troppo),hanno contribuito a saldare con il pubblico italiano un’identità senz’altro riconosciuta. Ozpetek nei suoi film ha traslato e riadattato qualcosa che appartiene alla cultura della propria gioventù a Istanbul,dalla quale ereditava per distillazione iconografica ritratti e sensi della parte di città più geneticamente mediterranea. Turchia e abitudini italiane perciò indicano il resoconto di mediazione tra paesi che porta avanti da oltre un quarto di secolo in nome di similitudini quanto mai metabolizzate nel costume quotidiano. Colore,osmosi di strade,intrighi,i grandi riti estemporanei,il candore e la slealtà dei sentimenti,illustrano temi dominatori spesso dal peso sovrabbondante e invasivo per osare linguaggi di consistenza sostanziale. Gli argomenti prediletti prendono in carica forme di bozzetti che descrivono ma sovente eludono articolazioni di specie o le complessità di una lingua,credendo di sostituirla con una semplicità di resa artificiosa da esperanto cinematografico. Per massima attenzione al fattore decorativo e preminenza kitsch nel carico delle inquadrature,Ferzan Ozpetek,pare far decantare le storie oltre misura in una resa simile a quella di lunghissimi spot pubblicitari. Le critiche ironiche a Mine Vaganti giunte a suo tempo dalla Francia si collocarono con verosimiglianza nel versante dove la regia sembrava più adatta al passo breve dell’ostentazione di un prodotto in vetrina piuttosto che ai gradi insigni di narrazione versatile dal tatto pungente. Diamanti,conferma e sintetizza un po’tutte le caratteristiche sia in positivo che nel negativo. E’ la pellicola più di successo realizzata dal regista,come non mai il pubblico si è ritrovato in un titolo che al pari di un brand da prenotazione stabilisce un sinonimo accattivante del genere femminile. I diamanti in tempi di crisi facciamo finta che siano beni di investimento,invece le donne per fiducia certa sanno assicurare senza smentite risorse costanti e genuine. Il film diviene un grosso gadget da strenne per lo stesso marchio di fabbrica che contava di ripetere l’effetto Cortellessi,strizzando l’occhio anche a qualche cliché del suo successone. Le donne di Ozpetek lavorano in equipe con una grande costumista di cinema,devono cucire un luccicante vestito da signora imperiale per un film in produzione,ma un regista pieno di sé e altre difficoltà frenano l’imbastitura puntuale. Le provette sarte riproducono in calco le scale gerarchiche,rigide,vigenti nell’ambiente dei set,sanno di tulle e broccati però il canovaccio del film ignora con imperdonabile svagatezza il loro vivere disagiato che risulta un acuto fin troppo timido e non va oltre una spudorata moderazione. Civettano e partecipano malesseri vicendevoli auspicando a parole risoluzioni audaci e condivise,eppure al dunque queste sorelle d’Italia preferiscono non muovere un dito per cambiare sul serio la prospettiva. Il traguardo veritiero di quelle lavoratrici (e della pellicola) resta riuscire a vestire con magnificenza l’attrice ma di fatto assuefano se stesse alla rassegnazione e alla sconfitta. Il messaggio collaterale etico-politico è raggelante,ponendo la vicenda in un’ambiguità che stratifica molta indifferenza di sostanza radicando i ruoli delle convenzioni e dei muri contigui alla stregua di tabù insormontabili. Non denuncia con coraggio disfunzioni,non chiarisce in modo corretto sui consensi palesi,preferendo via libera al fatalismo edulcorato. Ozpetek e la sua creatura amano contorni e pillole indorate inscenando il tradizionale clima nostalgico (peraltro una topica del cinema italiano contemporaneo) che obbliga a girarsi dietro nel tempo. Storia consolatoria e autocompiaciuta porta in alto l’immagine del regista che interpreta se stesso con innegabile resa egocentrica,e qui più di sempre effonde ruffianerie all’ennesima potenza. Diamanti è un film vacuo e inutile,segno in giù del momento che magari piacerà a chi sostiene lo status quo. Si fa carico di un pensiero assente di forza evolutiva che al contrario non servirà a nessuno. Se poi i numeri di spettatori potrebbero dimostrare per qualcuno come grande audience significhi alto gradimento allora ci fornirebbero prova inoppugnabile di un paese che ha gettato definitivamente sulla discarica ogni speranza.
Franco Ferri