Miles Teller in Trafficanti - War Dogs
I film di Todd Phillips cominciano ad avere un profilo riconoscibile di sicuro affidamento e multicentrica elaborazione narrativa. Le sue
Notte da Leoni (Hangover 1-2-3),senza dimenticare il viaggio pazzo e geniale di Zach Galifianakis in
Parto col Folle (
Due Date),non sono state semplici commedie per divertirsi ma attente analisi compiute di quanto il debordare oltre i paletti che delimitano il consentito (razionale e dogmatica formula di regole precostituite) possa ambivalere nell’espandere un libero arbitrio tra abisso e gloria,almeno per un giorno. Il successo di quei personaggi e situazioni per molti versi ha fatto sottovalutare in molti osservatori gli aspetti più interessanti di quelle pellicole conglobandoli in generiche spinte che tuttalpiù venivano considerate motore di risate.
Trafficanti (
War Dogs) va inserito geneticamente in quelle origini di comicità trasgressiva ma con essa estende e mescola tante altre configurazioni in prospettiva,dalla drammatica a quella del cinema civile,da renderlo amalgamabile in un film ancor più diverso,complesso e riuscito tra tutti quelli del regista newyorkese. Partendo da storie vissute con personaggi della cronaca recente non si poteva non fare altrimenti,c’è rappresentazione di un affresco che coinvolge un’intera società. Efraim Diveroli (Jonah Hill) è stato all’inizio del duemila con la sua società AEY,startup certamente propensa all’arte di arrangiarsi,che ben presto seppe trovare la quadratura di un cerchio fortunato diventando fornitore di munizioni per l’esercito americano in Iraq. Coinvolge l’amico David Packouz (Miles Teller),un ragazzo che vendeva lenzuola alle case di riposo per anziani con grande fatica e pochi proventi. Costui non sapeva nulla di armi e guerre ma l’incombenza esistenziale precaria,una prossima improvvisa paternità,erano peggio di un’invasione barbarica facendo di lui il perfetto testimonial di anni critici e disillusi. La strada del riscatto passa sul suolo dell’amico,Diveroli,del resto è un buon faro perché nella veste di imprenditore ha investito tutta la brama di agiatezza e sfrontata aspirazione,tuttavia riesce a far vedere all’altro con concretezza la realtà delle banconote. Capisce che la guerra non ha elevati standard etici,tantomeno patemi patriottici e difensivi che servono soltanto a coprire le dimensioni stratosferiche di business multinazionali,però in piccolo sogna l’affare,uno spazio per attirare il Pentagono trafficando modesti quantitativi d’armi dai ricavi sicuri e niente male. Usando fai da tè e tanto,buono spirito di sacrificio andranno direttamente in Medio Oriente sfidando rischi immani ma la spesa vale la candela. L’appetito viene mangiando,e l’insicuro David scopre nel talentuoso,irriverente,ingegnoso Efraim,l’illusione di un posto da governance autorevole per se stesso e i propri familiari negli anni a venire. Il Pentagono sta cambiando pelle,Bush ha promesso ulteriore liberalismo,da quel momento anche i piccoli fornitori potranno accedere ai grandi stock di materiale belligerante. Si cela in Albania un’enorme quantità di proiettili appartenuta al regime sovietico,il valore e i calcoli di guadagno sono di entità multi milionaria (in dollari) ma come si fa per acquisirlo e soprattutto portarlo a destinazione? Il gioco diventa serio e gli intermediari escono dal dietro le quinte cominciando a mostrare la faccia spietata e avida delle loro mansioni. Il lavoro dei cani da guerra sembra l’ultima riedizione feroce dell’irrinunciabile bisogno di tenere ardente il sogno americano,quello che accresce benessere e favorisce presunta stabilità. La sfavillante,rapida ascesa dei due personaggi è conquista paragonabile alla consistenza di una bolla di sapone che in tempi di depressione suggella l’angosciato,grottesco approccio con le gioie del denaro,quando quest’ultimo tristemente non può più appartenere al percorso virtuoso degli effetti legati all’evoluzione umana. Una corsa all’indietro condotta invero con l’ansia della sopravvivenza terrà sospesi Diveroli e Packouz sulle sottigliezze pericolose di una virtuale grandezza,come un filo sottile che va ad intessere la narrazione senza mai mostrare inflessioni e patemi moraleggianti. In
Trafficanti tutto esce dai personaggi con grande spontaneità attraverso un metodo di comunicazione apparentemente leggero che una volta apparteneva anche alla commedia all’italiana,sapendo esprimere intuizioni veritiere e sulfuree.