Tye Sheridan, Enigmatico protagonista
Cospicua e intensa la filmografia di Spielberg degli ultimi anni rimanda costantemente a domande emblematiche di carattere storiografico. Se analizzata nei dettagli guarda ai momenti cruciali cercando di coglierne aspetti vitali,trasformanti,che nascosti negli angoli interni delle pagine racchiudono significati,principi da coltivare in modo vivo e continuo per ogni tempo. Non è tentato da desiderio retorico,per Spielberg l’operazione di rileggere tranche e dettagli del passato elabora modalità di sintesi che servono all’interpretazione illuminata del presente. Non va a proporre metodi rigidamente geometrici che si riallacciano alla regola analogica,al sistema delle similitudini documentarie,ma nella libertà espositiva dei racconti privilegia più o meno apertamente criteri semantici legati alla primogenitura delle chiavi criptiche. Replica quel tipo di ascendenza conoscitiva,tra esoterismo e simbologia enigmatica,molto in uso nella pittura dei grandi maestri rinascimentali che lasciavano nelle opere segni e riferimenti dotti per comunicare,per tramandare alle generazioni successive oltrepassando limiti temporali e di anacronismo culturale. Innanzi al segmento passato-presente spesso vi troviamo un altro spazio di osservazione altrettanto suggestivo,magari inquietante e aleatorio,dove impropriamente si proiettano le lacune del presente e i riverberi di timori mai domi. Il coinvolgimento nelle ipotesi del futuro ha presentato pieni di fascino i giorni di Marty McFly e Doc Brown,viaggiatori indomiti del tempo,che hanno reso i
Ritorno al Futuro la saga più sinceramente spielberghiana senza che Steven avesse mai diretto un plot. La logica del domani in fondo è sempre stata sua prerogativa principale nonostante da buon asceta cercasse di minimizzarne il coinvolgimento in prima persona. Gli anni che verranno sono labirintico oggetto di viaggio e avventura ma per nulla destinati a priori al macero del definitivo caos. Al proposito quelli narrati in
Ready Player One,rappresentano per tutto ciò e qualche cosa in più l’esigenza di un salto in avanti d’impellente,attivo impegno,un match iniziatico da lotta indomabile per ottenere l’affermazione superiore. Il film motiva pur privo di esplicita dichiarazione un messaggio ellittico,forse il più profondamente politico tra le pellicole del regista. L’esegesi del cambiamento funziona in presenza di scenari non convenzionali,in una visione di allineamento futuro-presente dove il pessimismo reale viene sostenuto dalla dicotomia riconoscibile miseria e assolutismo, Solo allora la prospettiva geneticamente futura assumerà contorni praticabili grazie al mezzo della realtà virtuale,tecnologia di immenso impatto emotivo,di grande fondale rivoluzionario corrispondente a precise domande dell’essere. Offre la più ampia capacità visionaria molto vicina al senso di un’altra dimensione,evolve entropiche risposte emergenti da un’espansione tridimensionale di quello che abbiamo conosciuto attraverso le proprietà del web. La condizione di riscatto è la partita della vita in cui ha predominanza l’altra identità dell’individuo,quella latente,percettibile che ha coscienza di sapersi mettere in gioco nella versione alias o avatar. L’universo in versione gaming diviene missione,ascesa e scontro alla ricerca di un totem informale che determina posizioni tangibilmente vere e la mappa di un nuovo potere in cui la realtà reale non dovrà mai essere persa di vista. Le chiavi tipiche della filmografia spielberghiana in
Ready Player One trovano apoteosi dinamica e teoria conoscitiva illustrata come non avevamo ancora appreso. Non solo espande le proprie caratteristiche,ma il cerchio promesso sul sentiero che conduce a
Oasis,rammenta Orson Welles e Stanley Kubrick chiedendo di prendere in prestito con saggezza gli arcani segreti delle loro storie. Come fossero metadati che innalzano la forza dell’immaginario tutti gli elementi acquisiscono precisa funzione paritetica fornendo l’impressione di un affresco dove il tempo mescola nel medesimo spazio passato,presente e futuro rinnegando la continuità delle lancette. Il palcoscenico che nasce utilizza icone della cultura pop a propagazioni ideali di una crittografia modulata nel divenire. Look,film,musiche,canzoni identificano i connotati del grande sapere offrendo,sdoganando ai posteri in struttura d’archetipo il lessico dirompente della conoscenza contemporanea. Prendono il testimonial che un tempo apparteneva ad altre forme di attribuita classicità,in un’era dove essa tende a stratificare altre caratteristiche di rilevanza. Un po’ come accadeva nel contesto sacrale,descritto da Umberto Eco nel
Nome della Rosa,insidiato da nuove epoche di luce che non potevano essere rinviate.