Frances McDormand, Intenso ruolo che appassiona
Il racconto compare adesso non di certo per prassi quasi fosse una coincidenza qualunque. Nel nostro presente traballante dove l’incertezza finisce per trafiggere ogni residuo di speranza individuale,e il riferimento non si limita solo all’esplosione di un’emergenza ormai illimitata,il film presenta la più scolpita e insorgente capacità di invertire quella rotta verso l’abisso che sembrava ineluttabile.
Nomadland è un piccolo manifesto sull’ostinazione dal potere taumaturgico di volere,quanto saper riconciliare,il circuito interrotto tra individui e società. Anni di logiche economiche senza oppositori hanno di fatto reso sterile,improduttivo il background di immensi territori o di piccoli quartieri. Su tutto in maniera terribilmente parallela sono emerse oltre la povertà le malattie dell’anima che segnano il torpido malessere di molte regioni disarticolate,un tempo opulente negli Stati Uniti. Il film segue la vicenda di Fern (Frances McDormand),donna tosta assai caparbia che ha perso ogni sicurezza privata e affettiva dopo la grande crisi,quando nel 2011 inizia il cammino di una nuova vita. Un viaggio senza meta non una fuga che lei stessa ama definire da pioniere,alla riscoperta dei fili infinitesimali che regolano umanità e natura usando un camper,l’appendice più prossima del proprio movimento,l’amico più complice di silenziosi ed estenuanti tragitti. Non sarà l’unica a seguire la tendenza,in molti da una decina di anni la stanno scoprendo sempre più numerosi a causa purtroppo di esigenze sopraggiunte e per l’intimo,coscienzioso desiderio del rifiuto verso le regole.
Nomadland diviene la testimonianza di un fenomeno in rapida espansione negli Usa al quale Bob Wells ha dato un indirizzo carismatico. Costui è un personaggio (fa se stesso nel film) che per analoghe traversie ha cominciato a formare le comunità di camperisti aiutandoli a sopravvivere,fare amicizia,fermarsi nei parcheggi evitando problematiche. Il sito che amministra divenne subito un punto di riferimento per i viandanti,ma nella storia cinematografica emerge l’ideale di microcosmo dal quale rigenerarsi insieme dallo stordimento esistenziale e riappropriarsi delle necessità sopite ricominciando con calma. Sceneggiato e diretto da Chloé Zhao in modo convinto rielabora qualcosa dal potere perduto perché la storia ricerca minuziosamente la fonte del dialogo,dialettica dell’interazione che allaccia intrecci segreti e riscrive tra le genti motivazioni dello spirito libero. Fa affiorare il bisogno di scrutare gli orizzonti con rinnovata fiducia e intraprendenza senza angosce,dove prima c’era disorientamento adesso si riscopre energia solidaristica. La filosofia della vita nella pellicola sovviene con forte aderenza drammaturgica,nasce da una scrittura della realtà che non si limita all’effetto solista del naturalismo ma guida con rigorosi significanti l’essenza stessa della composizione reale.
Nomadland conduce al legame suadente,straziante con la madre terra. Per affinità elettiva ridisegna sotto molti versi un mito di Pasoliniana memoria,nondimeno fa riecheggiare la profonda prospettica di una spazialità sensitiva tipica del Wim Wenders più lirico. Avrà il ritmo di una ballata country la cui solarità è regolata dalla fredda luce di una stella,ma conta soprattutto lasciarsi alle spalle le ombre del passato. La mappa di strade e i parcheggi pieni di ritrovata vitalità sono il crocevia dell’universo dove t’incontri e cammini,dove non usa dirsi addio. Bob Wells preferisce salutare gli amici dicendogli,
“Ci vediamo per strada”. C’è un senso di continuità e infinito stratificato sulle comunità,un soffio trascendente sorto dal sole interiore che non inganna. Auguriamoci che
Nomadland possa riaprire a breve la stagione del film visto al cinema,chi vuole il cinema autorevole sarà servito all’incanto.