Lo scrittore se avesse potuto farlo ringrazierebbe senz’altro i suoi successori
No Time to Die: La salvezza del mondo come sempre dipende da 007
James Bond (Daniel Craig) a Matera
Se Ian Fleming avesse avuto la possibilità di scrivere le storie da cui sono tratte le pellicole più recenti di James Bond di certo riceverebbe plauso per la forza letteraria che il carattere del suo alter ego sta espandendo nelle pellicole più recenti. L’agente segreto per eccellenza di fronte ai nuovi eventi riesce a catalizzare una complessità multiforme che sembra spinta da un’origine molto affine con la parola e con le capacità soffuse della descrizione scritta. Le immagini e le scene dei film per l’elaborazione certosina che riescono a offrire paiono suggerire allo spettatore una minuziosa riflessione delle atmosfere,un’attenta analisi degli stati emotivi,come possedessero per incanto una solida origine disciplinare traslata dalla letteratura di qualità. Siamo stati abituati nel tempo a qualcosa d’inverso,in cui erano le scansioni dei libri ad imprimere impulsi congeniali per tradurre il concetto della pagina nel ruolo autorevole di una sequenza cinematografica,ma in una filologica evoluzione culturale dove mutano posizioni e sembianze della creatività può accadere che sia il cinema in virtù di specifica e adeguata autorevolezza a proporre canoni rilevanti da potersi impiantare per riflesso anche in un capitolo letterario a sé stante. Stimolanti suggestioni che sotto molti punti di vista
sono legate a Skyfall,Spectre e all’ultimo
No Time to Die formando una trilogia con personaggi in divenire dai contorni allargati,sospesi e fatalisti. Va ascritto il merito di sceneggiature così intime e profonde agli scrittori che rimangono anche oggi,Neal Purvis e Robert Wade,senza dimenticare il talento a tutto campo di John Logan presente nei credit degli altri due. Tali esempi di scrittura rappresentano nella storia di James Bond il passaggio definitivo da una fase avventurosa al compiuto squarcio lessicale e umanocentrico di un personaggio definendo maggiormente le basi di una mitologia. Lo scrittore inglese se avesse potuto farlo ringrazierebbe senz’altro i successori per aver amato così tanto la sua creatura da permettere un’operazione di svolta autoriale per nulla semplice.
No Time to Die vede per l’ultima volta nei panni di 007,Daniel Craig,la cui partecipazione potrà in seguito suggellarsi come una firma di stile su questi episodi,ma non darà al pubblico l’impressione di un lirismo disincantato e finale,oggi più che mai serve un aiuto da agente segreto. Non c’è tempo per morire e la salvezza del pianeta è urgente,come sempre dipende soltanto da Mister Bond. Il lungo standby del film dovuto all’emergenza ha permesso alla produzione qualche piccola variante che però lo hanno reso sottilmente più sulfureo. In tempi pandemici la trama assumerà luoghi microbio e venefici toccando i vertici MI6,l’agenzia britannica d’intelligence,quando il complotto targato Spectre sta per smuovere l’innovativa tecnologia che mira a modificare il dna delle persone. Che fa 007? Ritirato a vita privata dopo che il senso del suo passato sembra averlo avvolto nel buio non pare attratto molto da prospettive e missioni future. Tornano in gioco alcuni protagonisti chiave dei film trascorsi che antepongono all’azione del personaggio i nodi sentimentali o le passioni recondite dell’uomo. Nel lungo prologo di forte impatto visivo ed estetico,come una sontuosa psicanalisi che discende in James Bond cercandone i simboli frenanti tra vita e morte,le sequenze ingaggiano la potente e significativa permeanza degli antichi squarci architettonici tra Matera,L’Havana,Londra. L’Orfeo contemporaneo è ancora tentato dal guardarsi indietro ma sa che se lo farà tutto svanirà attorno. Questo lusso possono permetterselo solo i comuni mortali non certamente James Bond.