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Tempi difficili a El Royale
7 Sconosciuti a El Royale, tra enigmi e soul anni ’60 dentro il box del male
Il film, avvincente apologo che lancia interrogativi legati anche al presente

Dakota Johnson e Lewis Pullman nel film
Dakota Johnson e Lewis Pullman nel film
L’incrocio e gli strani incontri,le coincidenze e le difformità itineranti,sono occasioni che si uniformano in quel fenomeno così sempre poco approfondito il cui significato si appaia genericamente alla casualità. I motel di strada con la loro propensione al relax dopo viaggi snervanti innescano l’energia defatigante mettendo a disposizione i contatti tra ospiti per riportare in sesto,probabilmente ricaricare,tanti dettagli insoluti del cammino. L’oasi che suggerisce questa prospettiva non è una zona di passaggio del turismo fatto a misura d’uomo. Sotto varie angolature riporta a galla un ampio ventaglio di luoghi cinematografici dove quel tipo di costruzioni accoglienti,in mezzo ad estenuanti motorway,quasi sempre con stanze al piano terra sono state il centro per storie appassionate. El Royale è una di queste,un motel economico che non dà nell’occhio attirando desiderio e curiosità di vite solitarie,il più delle volte completamente avulse da attenzioni e occhiate di troppo. Situato al confine tra California e Nevada,contestualizza nella doppia faccia caratteriale di queste regioni la propensione al libero arbitrio e alla ferma cognizione razionale di vivere in uno spietato gioco possibilmente da vincere,se pensiamo ai vicini casinò di Reno. Come tutti i motel anche El Royale è un posto per chi ha il coraggio di tornare,fuggire,osare,potrebbe ospitare amori proibiti e nel medesimo istante i protagonisti di delitti da dimenticare ma non contempla le credenziali di chi per pavida scelta ha voluto non credere ai passi del destino. Tra innumerevoli folate che inducono all’empatia,evocando thriller storici,noir vorticosi e un pizzico di metafisica complottista in stile Polanski,7 Sconosciuti a El Royale,rivela con sagacia poliedrica l’affezione concentrica ad una serie di tipicità epocali che sono divenute riconoscimento e virtù magistrali. Format,arredi,auto e musiche vanno più su di un semplice decoro di facciata,soprattutto queste ultime assurgono nel supporto dimensionale di un personaggio alla facoltà di rappresentarne le varianti vitali e la chiave per sfuggire all’incubo. A El Royale l’atmosfera fa respirare aria un po’ rock,anzi sarebbe più giusto puntualizzarla particolarmente virata al soul,perché viene dall’emotività dello spirito suggerendo quanto il peso del peccato possa far intravedere spiragli di redenzione senza per questo essere inquinata da atteggiamenti moralistici. Il regista Drew Goddard,nonché autore della sceneggiatura,per propria soggettiva adesione e preferenza corre tra horror e storie distopiche,ricevendo meritevoli riconoscimenti (candidato all’Oscar per la scrittura di Sopravvissuto - The Martian di Ridley Scott).Inserisce una marcia che pone in primo piano vari riferimenti delle iconografie dei suoi generi preferiti,li fa calare a lenta diffusione sui capitoli della storia,evitando codifiche di convenzione,evidenziando semmai un palinsesto a orologeria esoterica. Perciò il thriller virato di pulp non eccessivo e il mistero impressionato da simbolismi visibili ha la fantasia di congegnare una sorta di apologo per nulla avulso da riferimenti squisitamente contemporanei. I sette personaggi che vedremo spostano l’interesse sopra legittimi o indifendibili interessi di parte per rappresentare nell’orizzonte della vicenda quanto una parte di loro intersecando gli altri faccia innalzare la percettibile dimensione del fatalismo. Un film diverso che ha in ogni caso la facoltà di tenere avvinto alla poltrona lo spettatore alla scoperta degli interrogativi,al dietro le quinte del crimine senza la presunzione di volerlo convincere di un messaggio ma nella consapevolezza di accompagnarlo verso qualcosa di solido.
Franco Ferri
2 novembre 2018