Jurassic World: Lo show che divora se stesso
Per fare centro di nuovo a distanza di anni occorreva una ricetta che non fosse un rimescolamento d’ingredienti,una riverniciatura opportunista per la bella mostra di un semplice clone. La storia voluta da Steven Spielberg oltre vent’anni fa rielaborò con l’espressività delle creature giurassiche un’attenzione positiva e progressista sull’idea che uomo e scienza di fronte a possibilità rivoluzionarie di rigenerare la vita cercassero la via dell’evoluzione contrastando soluzioni avventuristiche. I sequel successivi di
Jurassic Park, Il Mondo Perduto (1997) e
Jurassic Park III (2001) basavano la loro esistenza cinematografica soltanto sui caratteri del capostipite,e in fondo erano degli action movies inzuppati di stereotipi con tendenza all’horror se non addirittura accentuati nel gore.
Jurassic World alla luce dei successi mondiali del momento risulta convincente perché ha saputo riaffrontare con coraggio la prima ipotesi,insistendo su una sceneggiatura attenta ai contenuti che fecero grande il primo film. I nuovi scrittori Rick Jaffa,Amanda Silver,Derek Connolly e Colin Trevorrow,anche regista,hanno perseguito con umiltà narrativa questo fine che era fondamentale nella riscoperta mitopoietica. Pur senza farci riassaporare alcune genialità presenti nella pellicola diretta da Spielberg,riescono egregiamente a comunicare un certo mix di spettacolarità e senso morale che lasciano buona scia negli spettatori.
Jurassic Park aveva contribuito degnamente anche negli aspetti collaterali a formare un’etica di sensibilità a temi scientifici e naturalisti vicini alla bio genetica che in questi anni si sono ampliati raggiungendo nella società credenziali di notevole dibattito. Gli argomenti legati alle potenzialità della genetica lasciano stupefatti e al tempo stesso mostrano nell’opinione pubblica il richiamo a limiti per evidenti influenze religiose ma la paura ancestrale dell’uomo che possa nascere il mostro è sempre viva. La novità sul piano espressivo e allegorico di
Jurassic World sarà la creazione in laboratorio di Indominus Rex,un immensa creatura nel cui dna ci sono tanti pezzi di storia biologica relativa a molte specie,viventi e no,che rilanciano in nome degli affari una battaglia mai placata con l’ignoto. Rappresenta la sintesi viva di una splendida,perfetta,mostruosa struttura animale adattabile all’habitat climatico come pure a quello insaziabile dello show business sempre alla ricerca di nuovi gadget per far soldi. Gli autori in questa configurazione fissano tutti i principali collegamenti narrativi,non è la trovata mastodontica per un’icona iperspettacolare ad uso decorativo. Dentro l’articolata esistenza reclusa,cattiva e ribelle del sontuoso Rex troveremo l’aggancio con qualcosa di analogo che Mary Shelley scrisse raccontando Frankenstein,la figura divenuta in seguito mito del cinema. Ieri e oggi l’irrazionale motiva con oscuri avvenimenti il dilatarsi della conoscenza verso profondità mai sondate: Così l’inconcepibile per un pensiero standard ottocentesco era visto nel ridare vita alla materia morta,mettendo l’uomo in un percorso oscuro creduto ammissibile solo per la divinità. Invece attualmente la definizione di architettura genetica può trasformare dall’interno le varianti di una materia vivente riplasmando un divenire,quantificando in sede scientifica un cammino evolutivo ma le incognite restano. All’interno di queste il film veicola il suo punto di vista che pone in parallelo del progresso e della crescita la linea sempre in agguato dell’involuzione celata sugli scintillanti binari voluti dal mondo finanziario. Potrebbe sembrare troppo pessimista e crudo,eppure la morale figurativa scende su paradigmi virati ad avvenimenti reali in cui la mostruosità del progetto economico globale non soltanto non ha mantenuto la promessa di benefici per tutti, ma sta travolgendo senza ritegno le vite di molti individui innocenti.