Forest Whitaker in The Butler
Il sorriso non faceva parte del carattere e del bagaglio di Cecil,troppi eventi della sua fanciullezza erano legati alla fatica e alla durezza di una vita che non poteva assimilarsi a quella di altri bambini bianchi. Siamo nel 1926,il piccolo e la sua famiglia di origine afro hanno sola possibilità di sopravvivenza legata al lavoro nelle coltivazioni di cotone. In quell’America degli stati del sud non c’è pietà per loro,la tradizionale cultura razziale di quelle regioni considera l’esistenza un baratto per il nulla e la schiavitù è l’odiosa prosecuzione di un diritto alla rassegnazione. In un maledetto giorno di quell’estate il padre del bambino verrà ucciso per uno scatto d’ira dal padrone bianco. Nel frangente di tragedia e sgomento che nessuno deve manifestare e soprattutto dimenticare in fretta,solo la compassione dell’anziana tenutaria si ergerà con un gesto di benevolenza in suo soccorso iniziandolo al mestiere di servitore nella casa. Non sarà un ripiego da poco,perché il bambino apprenderà i rudimenti e i segreti di una disciplina verso gli altri che oltrepasserà gli angusti confini dell’ordinarietà approdando ad un livello formativo assecondato da interiorità,psicologia,coscienza dell’essere. Per un bislacco gioco del destino quel sorriso negato dovrà insidiarsi,forzatamente,lentamente nel suo modo di essere. Ben presto la professionalità e la neutralità perfezionistica dei suoi servizi diverranno il compendio di una pratica che sembra arte qualificando un’eccellente osmosi fra lui stesso e l’esigenza del commensale. Approderà alla Casa Bianca,dalla presidenza Eisenhower a quella di Ronald Reagan,dove la personalità del maggiordomo s’intreccia,confronta figuratamente con gli eventi,sotto molti aspetti i successi,che hanno visto crescere la società americana. Non dobbiamo aspettarci il romanzo di convenzionalità antiretorica,a volte visto da lontano,che in una tipica filmografia ha folgorato il complesso di colpa di autori bianchi. Lee Daniels ha vissuto nella propria cultura le dinamiche portanti,il feedback che alla pari di altre battaglie campali hanno contribuito a tenere dal lato giusto della storia gli Stati Uniti. Martin Luther King affermava che i domestici rappresentavano un fattore sociale importante dell’ America. Costoro senza neanche saperlo erano persone sovversive perchè con il loro lavoro apparentemente di subordinazione,contribuivano a superare bigottismo e ingiustizia. I maggiordomi,i cosidetti “negri di casa”,hanno aiutato a sconfiggere gli stereotipi razziali lavorando duramente,attraverso affidabilità demolendo gradualmente odio razziale con l’esempio di rigida etica lavorativa sostenuta dalla dignità del carattere. Nel complesso del film c’è tutto il rigore della filosofia compreso il punto di vista di chi riteneva che questa politica portasse in sé il pericolo di assecondare uno status quo. Non troveremo senso epico ma un sommesso afflato avvolto da nitido messaggio morale come lo stile ovattato di Cecil Gaines,Eugen Allen per la vera vicenda,ci ha insegnato. Una pagina cruenta e nobile con la quale l’America ha sconfitto disumanità, apartheid,logica dei campi di concentramento prima che in altre parti del pianeta. Un gioco di consapevolezza si maturerà piano piano,lì stava succedendo qualcosa di veramente speciale.