Toni Servillo diventa Silvio Berlusconi
Quando
Loro sta entrando nel vivo una ragazza tanto presa dal desiderio di fare l’attrice afferma,che poter scegliere di lavorare in televisione o nel cinema è indifferente,perché in realtà sono la stessa cosa. La definizione se fosse stata partorita in un altro paese verrebbe vista come un incredibile non sense,ma nella realtà socio culturale italiana fissa un assioma tangibile costruito passo per passo da un progetto politico fin dall’arrivo in scena di Silvio Berlusconi. La televisione doveva rappresentare l’amalgama,la fonte primaria di valori,verità e icone da raccogliere lentamente in ogni casa,edificando così un moloch dal forte potere trasversale che avrebbe poi trovato partecipata condivisione silenziosa anche tra gli oppositori a parole del Cavaliere di Arcore. Il cinema per sua natura esprime libertà e indipendenza,un ruolo di potere tutto suo nel panorama mediatico che fa emergere più di ogni altro il carisma associato alle arti. In Italia per un certo periodo aveva assunto con determinati flussi e opere una centralità di contropotere che dava fastidio,ma quando Berlusconi arrivava quella cinematografia era già in crisi. Bastò metterci le mani sopra con qualche soldo e un po’ di politica,in pochi anni il cinema italiano si spense del tutto,perdendo il filo della competizione artistica e divenendo per diffusa opinione internazionale,da quarta serie.
Paolo Sorrentino in molti versi è figlio di un’eredità a pezzi,dal volto confuso che vorrebbe ambire a progetti di originale levatura pur senza la dovuta umiltà. Una realtà che resta spesso comoda prigioniera delle contingenze prossime alla casta,velleitariamente imbevuta di intenti dal linguaggio roboante quanto inefficace nel porgere compiuti lavori da cinema universale. Ora Sorrentino ricerca i disvalori di casta nel momento in cui si va disperdendo la buona scia dell’Oscar vinto quando faceva parte della scuderia Mediaset. Sarà per vera sfida o per imbrogliare le carte ma,
Loro,a quintessenza
del film fustigatore di,coloro,colui,che hanno messo in scacco un intero paese non esiste proprio. Slogan,credulità che nascono per certo da necessità di marketing sebbene trovino nell’analisi contraddizioni palesi e comuni ad altre pellicole del regista napoletano. Chi ricorda in profondità,
Il Divo,quale presunto pamphlet enigmatico su uno dei personaggi più controversi e tragicamente ambigui che l’Italia abbia mai avuto,Giulio Andreotti,avrà percepito a tutto tondo l’assenza di stili d’ambiguità narrativa,fra sprazzi da situation comedy e spruzzi di simpatia contigua,faceva pensare invece con serietà ad una pellicola ambiguamente vicina all’agiografica del personaggio. Qualcosa di simile si trova a largo raggio in
Loro,perché questo non è un film politico o di impegno civile,non riesce a portare a galla una condizione drammaticamente sulfurea degli uomini derivata dalla complessità inestricabile degli eventi. Il limite registico e della scrittura non riescono a risolvere la sofisticatezza degli elementi costitutivi e il compiuto senso degli intrecci paradigmatici,ma lasciano fermentare sentimenti furbescamente ammalianti nel limbo del colore. Silvio Berlusconi e l’iconografico,fascinoso,ingiurioso periodo che ancora per qualche anno faranno parte del nostro immutabile presente visti da Sorrentino sono una versione in cui la maschera e l’allegoria avrebbero dovuto innescare una deflagrazione imparagonabile ai film italiani di quest’epoca. Al contrario siamo sempre nel campo del vorrei ma non posso,le metafore sono sprovvedute e talmente risibili da far crollare il fasullo impianto da pellicola sperimentale in dieci secondi. Quando la maschera fa il makeup al Berlusconi privato,l’elemento narrativo più difficile da riverberare in ogni capitolo,vediamo la nota più appariscente e tremendamente banale. La ricerca della somiglianza bozzettistica smaschera il ballo,anzi evidenzia il lato più negativo come dire una certa timidezza reverenziale del disegno film che traccia confini di resa rinunciando a scavare negli angoli scuri del protagonista. Toni Servillo non scuote,resta ingabbiato tra i solchi rugosi cercando di imitare gli imitatori del cavaliere. In questo frangente sarebbe stato molto più utile per necessità manifesta,per iperbole imaginifica,Maurizio Crozza,l’unico interprete ricco di verità efficace e rivisitazione sferzante,il miglior contemporaneo che abbia mai calcato le scene survoltando e metaimpressionando le gesta di Silvio. La prima parte del film termina con l’ospite Fabio Concato che esegue la canzone più amata da Berlusconi,siamo in Tv? No,non c’è grottesco,né ironia,con modi gentili si strizza l’occhio al pubblico esausto. Anche questa è agiografia.