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Serenity, l’isola dove approda l’(im)possibile
Un misterioso enigma pieno di richiami colti che spiazzerà il pubblico
L’estroso film di Steven Knight è sperimentalismo che rinnova il noir

Matthew McConaughey e Anne Hathaway in Serenity
Matthew McConaughey e Anne Hathaway in Serenity
Sono i confini di un’isola a volte indefinibile le cui velate atmosfere s’incuneano tra sabbia e cielo offrendo la dimensione intuitiva di un paradiso che si staglia nell’infinito dell’oceano. A Plymouth sembra aver trovato l’opportuna location,Baker Dill (Matthew McConaughey),un uomo che sebbene nel lavoro di tutor per turisti a pesca di grandi tonni non riesca a ben gestire l’unica attività sostenibile in quel magnifico margine del mondo,sta ingaggiando una singolare sfida tra se stesso e la natura circostante. Quando esce sull’imbarcazione denominata,Serenity, ancor più delle ragioni dei clienti fa prevalere le folate della mente,la battaglia personale contro una preda acquatica che crede di enorme mole ma di regolare dileguamento. Possiede una rabbia di fondo che pare spronarlo verso qualcosa di più vertiginoso,in verità astrazione pura ma ricca di condotta determinata,come se prendere all’amo il presunto bestione gli permettesse di raggiungere un equilibrio interiore al momento forse un po’sgretolato. Qualificando una specie di manovra arcana,chiama il suo tormentone da pescatore errante,Giustizia,mentre sono purtroppo evidenti i segni di una solitudine che deve affrontare dopo oscuri precedenti tuttora radicati. Il riscatto dell’esistenza però non si stabilisce fondandosi sempre sulle ripercussioni del passato. Regole e nuovi programmi possono derivare dall’improvvisa,modificata strada che rincorre il destino smuovendo misteriose coincidenze congegnate dal mare guardiano silenzioso di ogni vita. Difatti l’ambivalenza morale e l’approssimarsi di rinnovate,grigie sfumature d’umanità riemergono con cinismo puntuale per testare un terreno da risanare. Si presentano nel momento in cui arriva sull’isola l’ex moglie,Karen (Anne Hathaway),per proporgli un affare terribile. Ossessionata dalle violenze subite da parte dell’attuale compagno (Jason Clarke),fatte anche verso il figlioletto (Rafael Sayegh),vorrebbe da lui la vendetta perfetta sul barcone,in quell’acqua dove invero l’uomo cercava redenzione. Egli resta molto affezionato e unito dai ricordi al fanciullo ormai lontano,sarà una particolare e subliminale tipologia di contatto voluta strenuamente dall’adolescente ad attirarlo senza riserve. Viene catapultato dentro un misterioso rebus che spiazzerà anche il pubblico e si dirada piano piano nella mente di Baker con esiti imprevedibili. Serenity – L’Isola dell’Inganno è un film estroso,parte citando Herman Melville e sul breve sarà pieno di sorprese,cambio di prospettiva,che lo pongono in rilievo tra quelli distribuiti quest’anno facendoci ricordare l’originalità cinematografica del regista e sceneggiatore inglese,Steven Knight. La pellicola per sommi capi potrebbe far pensare all’impatto del noir,ma si trasformerà in un affresco ancora più avvolgente e inquieto dopo averci fatto tuffare in un arcipelago di sofisticati interrogativi e relazioni dal colto legame. Il suo cinema detta meccanismi di adesione introspettiva tra l’habitat e le variabili umane ma prevede la connessione con risvolti dal movente imperscrutabile (Locke).Ottiene la simbiosi di fasi di realtà distinte con taglio effettivamente complementare e dinamico nell’oggettivo,per nulla in antitesi o pretestuose,che favoriscono una prosa d’innegabile linguaggio metafisico. In Serenity tale sorta di processo narrativo ha coinvolgimento più ampio,necessita di visione allargata che sdogana nel medesimo fondale del reale le condizioni del possibile con quelle a valenza e significato del tutto irrazionale. Guarda al rapporto causa effetto nella fenomenologia,all’interazione che potrebbe sussistere tra varie realtà affini e parallele realizzandola tuttavia in modo naturalista. Ricorderà la stessa pregnanza consequenziale presente nel Labirinto del Fauno di Guillermo del Toro,quando sottili energie di volontà enigmatiche,presenti ma impercettibili,avevano diretta conseguenza con episodi concreti nella dimensione tangibile. Il film non cadrà nel manicheismo culturale e non innesca cliché da dibattito preconfezionato,considerando che si potrebbero attivare consuete avversioni o replicare esternazioni generiche,insufficienti nelle specifiche tematiche. Grazie alla trovata di sceneggiatura in cui ha un posto importante anche la comunicazione del pc e della Rete quali strumenti di pensiero e azione avremo la percettività,ora praticabile e scientifica,che le realtà sono molteplici e non configurabili per sole basi materiali. Nel racconto l’aspetto troverà spicco convincente e plusvalore articolato al pari di altri livelli dimensionali,ma grazie al fattore attualizzante di una cultura in ascesa come quella informatica avremo più consapevolezza che il pubblico recepisca con maggior sottigliezza certi temi d’intreccio. Se vengono afferrate con pragmatica comprensione idee concernenti l’informale e lo sviluppo concettuale dei comportamenti virtuali scorgeremo l’intesa per carpire in maniera attiva l’atmosfera della pellicola. La potenziale dimestichezza tra fisicità e insondabile,solo qualche anno fa oscura e di preminenza fideista,diventa aiuto non comune per fruire di maneggevolezza culturale intorno a sfumature,contaminazioni insorgenti che premono nelle situazioni e nei personaggi del film.
Franco Ferri
2 agosto 2019