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Oscar: Niente di nuovo nel cinema occidentale
Sette volte premiato entra tra i grandi Everything Everywhere All at Once
Ha prevalso un giusto fenomeno, eppure é mancata la prospettiva sul futuro

Brendan Fraser, Oscar per The Whale
Brendan Fraser, Oscar per The Whale
La Notte di Hollywood per antonomasia,quella che ogni anno celebra il cinema,si era capito da tempo quale imbarazzo dovesse sopportare dopo l’ultima,pessima edizione infarcita da episodi incresciosi ma soprattutto piena di film mediocri come mai era accaduto. Gli Oscar 2023 usciranno con un trionfatore,Everything Everywhere All at Once,che vincerà sette statuette. In questi verdetti c’è un percorso che conduce molto in alto la storia diretta da Daniel Kwan e Daniel Scheinert perché andrà a rinnovare un record da oltre un decennio. Per rintracciare un film monopolizzatore serve tornare all’Oscar 2009 quando The Millionaire fu insignito di otto categorie,oppure al 2004,anno del Signore degli Anelli-Il Ritorno del Re,che ne mise sul paniere ben undici. Nel 1999 fu invece Shakespeare in Love ad essere incoronato anch’esso con sette Oscar,perciò si comprende quanto i responsi odierni abbiano avuto una sostanza di fermentazione per tutto il movimento del cinema. Un clima maggiormente rasserenato che si percepisce dai dati dell’ascolto tv con +13% rispetto a dodici mesi prima lasciando intravedere empatia più rilevante non soltanto verso i colori dello show ma nei confronti della gara intrinseca. Proprio per questo pare giusto domandarsi quale traccia lascia scritta,Everything Everywhere All at Once,al cui prestigio la Notte degli Oscar ha offerto una convinta mediazione. Il film è una piccola produzione indipendente che fu girata in sei settimane all’inizio del 2020 mentre stava iniziando il caos dell’emergenza pandemica. Quando finalmente uscì due anni dopo,mentre il pubblico timidamente cominciava a tornare al suo grande schermo,riaccendeva un fenomeno che pareva scomparso. Il passa parola tra spettatori moltiplicava le presenze al film come una forza spontanea sorta dal basso che ha ridestato il potere di una storia e la magia comunicativa della proiezione,facendo capire più di cento blockbuster quanto restasse fondamentale il legame tra sala e pubblico. Sarà un meccanismo culturale di pregevole rilevanza durante questi anni,tutte le sette volte in cui il palcoscenico hollywoodiano gli riconoscerà tributo contraddistinguono in modo figurativo la parabola perfezionista della ripresa cinematografica. Oltre c’è una pellicola che per tensioni e risvolti ma anche per il valore intrinseco dell’origine teatrale riporta in auge il linguaggio di memorabili trasposizioni del passato e per tali caratteristiche ha meritato il timbro dell’Oscar. Premiando l’interpretazione di Brendan Fraser in The Whale di Darren Aronofsky verrà affermato sicuramente il merito artistico ma soprattutto un particolare metodo comunicativo che fu acclamato in grandissimi esegeti della recitazione. Per certo in stagioni non lontane La Notte degli Oscar ci aveva abituato costantemente al minimo comune denominatore di una prospettiva che guardasse con fiducia al futuro,ma se oggi un’identità contenutistica in quella direzione,o il rilievo di opere assolute,è mancato la responsabilità ricade spesso su scelte pregiudiziali. Consideriamo che film eccellenti e degni di attribuzioni quali Triangle of Sadness e Babylon sono stati ignorati o esclusi con palese riapparire di una selettività conservatrice che sembrava sepolta. Se poi per evidenti motivi legati a fattori marketing i votanti hanno indirizzato le loro preferenze combinandole con l’aureola del merito comprenderemo nitidamente l’assegnazione di quattro statuette all’ennesimo remake tratto dal romanzo del 1931 di Erich Maria Remarque,Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale. L’omonimo film ambientato nella prima guerra mondiale risulterà un prodotto levigato,accademico e pieno di déjà vu,la cui retorica antibelligerante al presente non aggiunge nulla che possa dichiararsi dirompente. Guadagnerà premi tecnici,ma è immeritato quello ricevuto per il Miglior Film Internazionale dove un prodotto multinazionale è stato inserito impropriamente vampirizzando di fatto una categoria a tutela delle cinematografie locali di tutto il mondo. Da alcuni anni è divenuta propedeutica alle scorribande di Netflix dove può ottenere maggior visibilità che in altre,ma gli Oscar nelle edizioni prossime dovranno tornare con auspicio a fare i conti con più cristallinità e minor sentore di compromesso.
Franco Ferri