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Oscar 2014: Un premio per tutti i target
Miglior film è 12 Anni Schiavo, sette statuette incoronano Gravity
American Hustle sulle orme di Spielberg, Sorrentino 15 anni dopo Benigni

Tutti coloro che hanno seguito attentamente la premiazione degli Independent Spirit Awards.l’annuale, scapigliata premiazione del cinema in progress,avranno notato somiglianza con il tabellino di questo 86°premio Oscar. In sette categorie gli Academy versione 2014 ribadiscono le medesime preferenze del cinema indipendente confermando attenzione sempre vigile su temi e prospettive in sintonia con un mondo in crescita. Il film di Steve McQueen,12 Anni Schiavo in questa doppia location californiana ha ricevuto tre premi,miglior film,migliore sceneggiatura di John Ridley e quello alla performance dell’attrice non protagonista,Lupita Nyong'o. Con altrettanta caparbietà e similitudine viene attribuita un’impronta al coraggioso Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée attraverso gli attestati ai due attori veri fulcri del film, Matthew McConaughey e Jared Leto. Stesse valutazioni per Cate Blanchett,protagonista in Blue Jasmine di Woody Allen,seguite dal miglior documentario che ambedue le premiazioni segnalano in Twenty Feet from Stardom di Morgan Neville. Il premio Oscar poi confluisce valutazioni e interessi di industria in un unico titolo,Gravity,film sorpresa dell’anno non solo per il box office. Raccoglierà ben sette riconoscimenti legati da tecnologia e musica con la punta di diamante rappresentata da quello come miglior regia ad Alfonso Cuarón. Fa un certo scalpore la delusione serpeggiata intorno ad American Hustle – L’Apparenza Inganna di David O. Russell. La pellicola per alcuni versi poco gloriosi entrerà nel guinness dei primati non avendo ricevuto nemmeno una statuetta. Partiva da una pole position invidiabile con dieci candidature ma ancor di più era un film di notevole pregio per quel mix di commedia corrosiva,stilisticamente innovativa che appare sugli schermi non tutte le stagioni. Senza dubbio è mancata acuta sensibilità ai membri giurati dell’Academy, tuttavia il fatto ha nobili ascendenze con quanto accadde all’Oscar 1986 dove il pluricandidato (11) Il Colore Viola di Steven Spielberg rimase a mani vuote. Sereno su tutto l’orizzonte per i colori italiani perché in una data che rimarrà storica un film tricolore veleggia sul cielo di Hollywood. La Grande Bellezza di Sorrentino riporta la mitica statuetta in Italia dopo quindici anni da Roberto Benigni e la sua Vita è Bella. Non è stata una vittoria casuale,il pubblico statunitense gli ha dedicato subito attenzione fin dal primo apparire e questo è stato un fattore di indubbia forza. Paolo Sorrentino forse non ci credeva fino in fondo e al momento del premio quel suo inneggiare a Maradona come fonte ispiratrice è stata l’evocazione ad un grande genio della parabola,sinonimo di una balistica magica e irrazionale che tutto può raggiungere.

La  Redazione

 

Il Lato Oscuro della Bellezza

La prima evidenza percettiva è che La Grande Bellezza ha vinto l’Oscar compiendo un’impresa straordinaria avendo battuto titoli molto più consistenti e dal valore contenutistico assai pregiato su tutti,Alabama Monroe (The Broken Circle Breakdown) di Felix Van Groeningen e Il Sospetto di Thomas Vinterberg. Fino a dicembre scorso nessuno nell’opinione internazionale aveva accreditato interesse sulla pellicola,ne tantomeno avrebbe scommesso su future affermazioni di prestigio. Da quella data le carte in tavola sono molto cambiate. Prima gli European Awards,poi il Golden Globe hanno fatto da apripista per la massima kermesse del cinema Usa. Eppure in questo spazio di tempo tutti gli altri premi in cui La Grande Bellezza è stato candidato in America non gli avevano riservato allori. Il riferimento va a quei riconoscimenti delle varie associazioni molto importanti di critici che non lo hanno mai scelto preferendogli altri film,o come nella maggior parte dei casi,La Vita di Adèle. In questo punto si colloca tutta la scellerata strategia del cinema francese che non ha voluto farsi rappresentare dal film di Abdellatif Kechiche,assoluto protagonista internazionale di un anno di cinema nel prestigio di premi e pubblico. In effetti è stato proprio il pubblico americano con buon afflusso a sottolineare lo score del film di Sorrentino. Non solo italo americani ma tutta una tipologia di spettatori non certo giovane che ha rivisto l’Italia,location colorata,barocca dentro una Roma nostalgica. C’è un aspetto che in molti abbiamo sottovalutato quando un certo tipo di produzioni nazionali va all’estero. La cultura italiana evidentemente non richiama evoluzione e grandi temi universali ma l’acquerello pittoresco fermo nel tempo,la suggestione da panorama esotico che il paese purtroppo stratifica da sempre all’esterno. Tutto ciò nell’anno in cui lo spirito dell’Oscar,un preciso termometro della sincronia fra uomini,società e cinema,un indicatore pregnante e libero diventato da stagioni costante di progresso e crescita,ha preferito andare in vacanza. Così è tornato l’effetto Cinema Paradiso che di solito premia la voglia di pensiero conservatore. Quest’ultimo diverrà un aspetto non secondario perché La Grande Bellezza fra i contendenti della categoria miglior film straniero era il meno scomodo quello meglio propenso al politicamente corretto. Però il grande bluff,quello più macroscopico,è stato continuare a paragonarlo alla Dolce Vita di Fellini anche se con l’opera del filmakers riminese c’entri poco o nulla,se non per il rumore di un confronto disegnato a tavolino spudoratamente pubblicitario. La Roma e l’ambiente nel film di Fellini erano tragici ammantati di palese verità,la pellicola evocativa quanto profetica abbracciava limpido anticonformismo per questo ebbe problemi di censura con il potere e le istituzioni del tempo. La città rivista da Sorrentino è la capitale di un kitsch senza limiti,innocuo ma compensativo di lacune linguistiche. La Grande Bellezza é una produzione furbescamente ruffiana,affatto corrosiva,figlia dell’establishment che vuole continuare ad avere consenso. Questa è l’unico paragone profondamente vero che può contraddistinguere i due film. Il copia incolla mediatico di quello slogan dimostra tutta la disinformazione verso un pubblico che appare recettore disorientato non distinguendo più il succo dell’informazione pura dalle esigenze di marketing,d’altronde queste sono state usate in grande quantità e a quanto sembra l’utility ha giovato.
Franco Ferri
3 marzo 2014