Babadook: La fantasia reale che viene da un libro
La fantasia sfrenata di un bambino rivela in modo latente il profondo malessere intorno sé. Nel gioco ossessivo dei suoi slanci senza moderazione c’è un senso di abisso che lo separa dalla madre e dagli altri coetanei quasi volesse innalzare davanti un muro protettivo,insormontabile di protagonismo. La diversità creatasi nel microcosmo familiare scopre una rappresentazione informale che sorge dagli indecifrabili colori interiori racchiusi nella camera oscura dei traumi infantili,ma per il mondo esteriore é una malattia da fermare e contrastare incondizionatamente. L’isolamento di Samuel (Noah Wiseman) fonda le origini con la propria nascita,un giorno da ricordare e dimenticare al tempo stesso perché contempla vita e morte come uno snodo del destino infausto per il contemporaneo,accidentale decesso del padre. Questo episodio viene vissuto dalla madre nei confronti del piccolo figlio in un rapporto ambivalente di amore odio che le farà aprirà altre porte della psiche mai osate. Il bambino è oltretutto affascinato da un libro illustrato,una specie di fiaba gotica che racconta il mondo terrificante di un fantasma,l’uomo nero che tutti i fanciulli temono quando vedono le prime ombre del buio. Si chiama Babadook,la fama oscura delle sue gesta è sicuramente frutto di irreali,inesistenti vicende,ma in Samuel può diventare motivo di influenza ed emulazione mentale,quel pensiero negativo per la madre va rimosso,celato a ogni costo. Babadook nelle pagine sembra avere una vita parallela che vuol forse sfidare la prostrata madre Amelia (Essie Davis) segretamente spaventata dal terrore di carta,ma una cosa realistica del genere va di certo imputata con ogni probabilità alle macchinazioni bizzarre del cinico figlioletto. Un racconto tradizionale per quanto cupo e pieno di oscurità pregnanti non può piombare improvviso spiazzando le difese formali di una donna matura. Ingenuamente verrebbe da pensare così,ma le strade del terrore umano sono infinite e quelle dell’cinehorror di classe ancor di più. Lo status psicologico si muove,la solitudine,il cerchio avvizzito del desiderio e la morte del congiunto mai rimossa stanno contribuendo ad uno stato ansioso che destabilizza la personalità di Amelia e con molta tremenda probabilità dalle pagine scritte,dai cupi disegni in china nera sta emigrando nel suo vertigo una figura astratta e notturna chiamata Babadook. Il tema centrale di questo film australiano,che sfugge a rigide classificazioni di genere,distende i capitoli mettendo in risalto i giochi della mente quando le tenebre fanno saltare logiche apparentemente afferrabili e razionali. Usando una metodologia di causa effetto,che ribalta la consuetudine generalizzata della produzione horror,la scrittrice regista Jennifer Kent predilige punto di vista drammatico per evidenziare il quadro personale e sociale dei personaggi. In conseguenza le motivazioni e le spinte interattive giustificheranno la creazione di mostruosità che sono il prodotto delle paure e delle follie soggettive frutto del disagio e di un triste viaggio esistenziale,divenendo poi di seguito vere individualità a ragione oggettiva uscite dai confini di una logica strettamente percettiva. Perciò Babadook non sarà mail la guest star debordante di un serial di attività paranormale semmai consegna il proprio profilo per una meritevole opera filologica al servizio delle capacità uditive e sensoriali umanocentriche. In un piano più generale il film fa vivere con risalto linguistico notevole la nascita dell’immaginario,la visione che integra realtà e fantasia,attraverso la forte lotta interiore di Amelia sospesa tra la resistenza raziocinante e l’indebolimento ansiogeno del suo io. La forza mitopoietica del messaggio letterario dispiega nel film una forza d’urto,come anche di traino tentacolare,veramente esemplare.