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Netflix e il Leone: Venezia sprofonda
Il premio a Roma di Cuarón contraddice la mostra d’arte cinematografica
Un film non potrà mai ambire al prestigio se non esce al cinema

Alfonso Cuarón premiato con il Leone d'Oro
Alfonso Cuarón premiato con il Leone d'Oro
Con ogni plausibilità il 75° Festival di Venezia ha contraddetto il proprio storico appellativo che gli assegnava la funzione di Mostra d’Arte Cinematografica. Resta certo che il concetto di cinematografia non può essere distolto dal luogo fisico,rituale,collettivo concepito sul ruolo insorgente della planimetria da grande schermo. Il Leone d’Oro a Roma di Alfonso Cuarón ha messo in scena un paradosso della forma che sarebbe piaciuto agli autori della commedia dell’arte per intrinseca attitudine al grottesco. Per stravagante scelta voluta dalle strategie del moloch produttivo il film messicano,giudicato degno di grande cinematografia dalla giuria,non potrà mai fare apparizione nel posto più appropriato per antonomasia,il cinema. La sconfitta del modello d’arte cinematografica sembra evidente. Netflix opta per il download on demand lasciando che il cliente possa vedersi l’opera di fiction attraverso tablet e display vari,ma immancabilmente offrirà la classica soluzione di poterlo gustare sul tv casalingo. Nel segmento della comunicatività un film visto su quelle modalità finirà per risaltare basso profilo,non riuscendo rispetto alla visione in sala,a presentare ottimali livelli di attenzione angolare e di fruizione immedesimata di contenuti e sfumature. Va in onda ora maggior confusione dettata dalle spinte televisive che vogliono indistinguibili le differenze tra la libera originalità di un prototipo e gli stereotipi seriali per un pubblico addomesticato. Questo sarà il destino di Roma e di altri lavori se Netflix non cambierà disegno cominciando a valutare la possibilità della distribuzione theatrical,che a partire dagli Stati Uniti mantiene pur sempre una quota di alta convenienza. Un film,una storia,non può ambire al prestigio e alla memoria indissolubile se non ha fatto prima i conti con il passaggio in sala. Questo è un principio fondamentale che nasce dall’essenza stessa cinematografica perché l’impatto di una pellicola,sia in positivo quanto in negativo,con gente a stretto contatto genera un circuito sociale di vasta proporzione. Ha luogo una fenomenologia immediata,unica,che si traduce in viva cultura per nulla sostituibile con logiche comunque riconducibili a scansioni televisive. Sostenere l’idea del cinema nel luogo congeniale ha tuttora una radice di progresso,continua a svilupparsi nei paesi più avanzati come pure in quelli di recente modernizzazione che vedono impennate delle presenze sotto il grande schermo. Quanto mai il cammino del cinema al cinema converge con l’ausilio di tecnologie ben superiori a quelle recepite dai devices domestici. Gli eventi sulla laguna,l’allarme dai rintocchi veneziani non devono colpire indirettamente il lavoro di Cuarón con la sua voglia di sperimentalismo,aggiorna casomai tutta una serie di meccanismi politico-economici sottili ma recepibili che da tempo stanno tentando di imporre soluzioni gradite ai giganti della finanza. Il verdetto della Mostra premia per la prima volta in un grande festival un soggetto di esclusiva filiera paratelevisiva,nondimeno era nell’aria e l’Italia sotto queste spoglie sta da anni svolgendo la parte di prim’attore nell’omologazione che ha svilito il cinema favorendo la tv. Un politico del vecchio corso,Francesco Rutelli,oggi ingaggiato per fare il presidente dell’ANICA,forse per rendere imperituro il legame tra industria audiovisiva e labirinti pubblici,illustrava apertamente alcuni giorni fa la necessità di un forte progetto industriale che abbracci produzioni mediatiche e piattaforme web tv,come se il cinema in sala fosse un interlocutore superato. Non per caso ha criticato le scelte ideali intraprese dal Festival di Cannes (difensore dei contenuti e dello spazio cinema) rispetto a quelle lagunari definite più realiste e moderne. Venezia raffigura l’innovazione ? Speriamo che non sprofondi di fronte a un’opinionismo cinefilo internazionale non esattamente allineato con il gusto in vigore da noi. Però vorremmo che Roma di Cuarón possa alla fine farsi vedere e venir applaudito nelle sale di ogni dove. Vorrebbe dire che i muri invisibili a volte si possono anche sgretolare.
Franco Ferri