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Martin Scorsese: Così è cresciuta una nazione
Un’opera atipica e allo stesso modo vicina ai temi ricorrenti del regista
Killers of The Flower Moon è metafora originale della storia americana

Leonardo DiCaprio, protagonista del film
Leonardo DiCaprio, protagonista del film
Le parabole di vite fuori dagli schemi o meglio ancora quelle inserite nel contesto di realtà criminali hanno permesso a Martin Scorsese di costruire nei suoi film,da Mean Streets a Gangs of New York passando per Casino,un comune denominatore dal valore storico. La nascita e lo sviluppo di una nazione riletti dal microcosmo di personaggi ingombranti,disposti a tutto pur di dominare soprattutto il potere del dollaro (The Wolf of Wall Street),contengono la filigrana antiretorica che troverà nel percorso americano una giusta lievitazione per interpretare il dietro le quinte e la dimensione socio storicizzante degli Usa. Attratti dalle possibilità del mondo libero,i piccoli gangster,i self made man cresciuti nel disagio,hanno metabolizzato il senso di cabotaggio criminoso o liberista esaltando collusioni e contraddizioni,ma realizzando inimitabili connubi antropologici visti sulle prossimità dell’inclinazione egocentrica,tanto più organici alle radici del territorio natio. New York diveniva l’habitat,il mezzo tra individuo e collettività per ottenere la redenzione dal peccato originale che non doveva necessariamente combaciare con la santità ma per certo poteva adagiarsi nell’ideale del sogno agognato e baciato dal denaro. La scalata verso l’alto è il pensiero che tutti vorrebbero tradurre nel mondo reale,la legge della sopravvivenza non si addice a membri delle lobby,ancor meno l’accettano gli affiliati delle gang,ognuno perseverando con riverenza il dogma di un grande paese senza confini. Scorsese ha contestualizzato attraverso il cinema non tanto le epiche dell’impresa squisitamente criminale,le cronache tolleranti dell’opportunismo amorale,bensì portando in rilievo il sostanziale eco di marginalità,caratteri,potere e illusioni rende fondamentali,le ambiguità,i contrasti,i disvalori,quali centri di decodifica per comprendere a fondo i propri affreschi multilaterali. Quando invece ha preferito nel racconto causa esigenze mediatiche dare preminenza al malinconico sentimentalismo decadente (The Irishman) si è andata perdendo la forza semantica e un presunto carisma da risultanze politiche che il lavoro si prefiggeva. Per nostra fortuna l’autore newyorkese rientra nella carreggiata a lui congeniale,indirizzando un progetto adatto alla lingua comunicativa di chi preferisce il grande schermo piuttosto della disinvolta,minimale attenzione di coloro abituati al tv salottiero. Killers of The Flower Moon sottintende infatti una magnifica risposta percettiva da parte del pubblico eppure non risulterà un film distante dal grande coinvolgimento estroverso e ambientale. Per una serie di scansioni narrative di fulgida espressione prospettica riporta in auge scenari tipici dell’America a metà strada tra New York e l’ovest,nel tempo in cui il Western era al Canto del Cigno,ma l’epoca del ventesimo secolo si stava presentando senza alcun tipo di romanticismo. Dopo la Prima Guerra Mondiale si avverte poderosa l’incertezza del passato mentre nuove avventure socio economiche si affacciano in bilico tra desiderio di avanzamento e accettazione fibrillante di una maledetta modernità. Ernest (Leonardo DiCaprio) reduce dal fronte in Europa viene invitato dallo “Zio” William (Robert DeNiro),uomo benestante che lo avvia ad un discreto lavoro e lo consiglia attraverso la sua scaltra esperienza. Questa terra dell’’Oklahoma detiene una particolare leadership dopo essere stati scoperti dei giacimenti d petrolio che fanno degli Osage,una tribù di Nativi,i primi petrolieri non bianchi degli Stati Uniti. Si rileva fermento e reddito pro capite moltiplicato e nell’effervescente mescolanza della cittadina il buon Ernest trova la sua metà sposando Mollie (Lily Gladstone),ricca ragazza Osage che grazie ai proventi dell’oro nero si è conquistata un’alta posizione. La tranquillità non s’addice al posto perché avvengono strani e numerosi delitti di Nativi,tutti patiti dai proprietari dei pozzi di petrolio che nessuno pare fermare. Sono omicidi seriali anche maldestri,presto si rivelano limitrofi alla locale Loggia Massonica. Il drama-thriller intesse e raccomanda verità bel al di là di colpevoli d’occasione circoscrivendo una razionalità di apologo che Martin Scorsese aveva finora toccato,suggerito,ma mai apostrofato direttamente. La crescita di una nazione e il passaggio verso la maturità sorreggono una dura metafora del capitalismo che avrebbe utilizzato spietati aggiustamenti nonché la tremenda scelta del genocidio per completare la fisionomia del paese. L’opera che Scorsese consegna,sceneggiata con Eric Roth,si avvale di impressionante lucidità intellettuale realizzando con maestria una filologica adesione ai luoghi fatta da,dettagli delle inquadrature,ricorso antropologico alle consuetudini locali,attenzione maniacale su singole sequenze che innalzano la molteplicità cinica da consumarsi nel nome della banconota verde. Killers of The Flower Moon sa volare con una formidabile resa di tonalità e sfumature capitolari che formano una realtà dilatata,un respiro infossato fin dalla descrizione dell’habitat per poi divenire un dirompente soffio sul fuoco delle ferite. La pellicola non alza invettive ma comunica dall’alto di una profonda,sana entropia,quanto economia e potere abbiano reso un cattivo servizio alla nazione.
Franco Ferri