Zack Snyder
Viene da chiedersi se il ritorno di Superman sia stata un’operazione di semplice opportunismo oppure il puntuale capitolo di un’evoluzione narrativa che vede gli eroi dei fumetti tradotti nel linguaggio espansivo cinematografico. Da Batman a Spider Man abbiamo assistito ad episodi che hanno portato nel board magmatico delle avventure il rispettabile,pregnante punto di vista da cinema d’autore. Nel metabolismo di quelle storie è stato estrapolato quello spaccato evolutivo,fra ostacoli e coraggio,espressione di una fiction che ha comunicato la simbologia del viaggio umano. Superman,o se vogliamo la duplice veste di Clark Kent,al cinema aveva sempre lasciato un po’di freddezza causa sceneggiature che guardavano troppo davanti al personaggio piuttosto di rappresentarne la variegata personalità. Bruce Wayne, Peter Parker e le loro seconde identità al contrario scoprirono in Cristopher Nolan e Sam Raimi esemplari psicoterapeuti della sequenza che seppero tirar fuori incubi reconditi,realtà traumatiche,risorse potenziali trovando la giusta linea di sintonia con la psicologia del pubblico. Le verità traslate e la sintesi degli insegnamenti provenienti dai supereroi avevano trovato la divulgazione e la consapevolezza più efficace grazie ai film. Qualcosa invece ha frenato e reso Superman meno traducibile in immagini oggettivando minor empatia con lo spettatore.. Egli rappresenta l’archetipo della perfezione,i suoi poteri non provengono dal percorso di lacerazione,da una personale drammaturgia che lotta con un’ambiguità di fondo ma suggellano una superiorità naturale a prescindere. Quindi non suscita come negli altri supereroi un feedback in divenire che il pubblico percepisce con solidarietà,casomai l’accettazione del personaggio è dovuta a quella forma aprioristica assegnata generalmente alla fenomenologia inspiegabile e meravigliosa. La tematica è un quesito centrale certamente posto quando la materia fu affidata a Zack Schneider che nel suo curriculum ha saputo cogliere lo spirito e la metanarrazione del fumetto inserendolo dentro l’esegesi di una storia. Inoltre Christopher Nolan,il produttore,ha valutato l’esigenza di un racconto potente,lui eccellente creatore di drama-fantasy. S’intravede L’Uomo d’Acciaio,intreccio in cui dovrà essere predominante il fattore umano nella rinascita di un personaggio altrimenti algido. L’insita natura straordinaria avrà una ragione credibile se troverà fusione e forma conoscitiva nei luoghi della quotidianità. La sceneggiatura difatti sceglie l’origine,la travagliata odissea di colui che un giorno diverrà Clark Kent. Raccogliendolo nella provenienza aliena,rivisitandolo nel traumatico viaggio sul pianeta Terra davanti alla scelta di un destino di diversità,vista in un travagliato processo formativo che lo porrà in mezzo alla scelta classica di salvezza tra bene e male.
Vedremo Superman scoprire la propria,personale missione ma soprattutto accrescere con i suoi poteri un ponte fra due culture distanti. Rialzarsi e soccombere è un dilemma che infiamma quando lo scontro pare annientare il più debole. Nell’anello dell’evoluzione galattica questo fatto non ci vorrebbe ma la battaglia mostra i suoi fantasmi all’orizzonte. Dopo l’avvio in stile discretamente riflessivo il film ruota sul binario che Zack Schneider ha preferito in 300,la lotta di due eserciti vicini,antagonisti quanto predatori per il territorio della sopravvivenza. Stessa ferocia fra Kriptoniani e Terrestri che Superman cerca di interporre in nome della speranza ma il format assume le pieghe di un nuovo Star Trek con il generale Zod,cattivo al posto di Khan. Dalle ceneri di un’aspra guerra si afferma il nuovo Clark Kent,però troppe invasioni aliene sottraggono il gusto del supereroe da alta cucina affogando in implosive reminiscenze da Independence Day e Guerra dei Mondi. Il marchio del clone diviene galatticamente stabile,costringendo il volonteroso cinefilo a prediligere ancora Batman,Spider Man e perché no,anche il primo Iron Man.