L’eredità di Sergio Leone
Il ritorno di “C’era Una Volta In America” mostra lo spirito di un film senza età
In Italia nessuno sa esprimere la modernità universale del regista La riedizione nelle sale italiane di C’era Una Volta in America non ci concede la solita,invariata strofa celebrativa sul cinema del passato. Il film di Sergio Leone rivisto in un altro contesto,quindi esposto ad un inevitabile confronto con l’evoluzione del cinema,mostra nella sua fisionomia strutturale una perfetta lezione di racconto ad incastro dal quale le svariate scansioni temporali fanno emergere,anzi comunicano,un’idea di realtà surreale quasi metafisica. Immagini,suoni,rumori,piccoli dettagli vengono fusi e sviluppano nelle situazioni una dimensione del tempo soffusa,quasi indeterminata che travalica la vita,la decadenza,la morte degli uomini e delle cose riabilitandone i loro valori eternamente mitici. Durante la proiezione qualcuno trasportato da questa folgorazione potrebbe chiedersi,senza per ciò esser accusato di ingenuità,se il film sfiori veramente i trent’anni. Non c’è dubbio che nelle ultime stagioni il modo di surrealtare i linguaggi è stata caratteristica degli autori più in voga. Elaborare i personaggi,sviluppare il senso iconografico di un affresco (prendiamo in prestito volentieri un lessico dell’arte) per rappresentare l’essenza del mondo è divenuto non un gioco ossessivo ma un rituale comunicante di alto spessore.
Robert De Niro è Noodles L’America di Leone si ama,si detesta,si mitizza e anche se non ti ricambia sarà sempre dentro di te (Noodles e Deborah). Il tempo non lo ha sfigurato,ora la terra madre che lo ha allevato a film sa ricambiarlo amorevolmente. Il lavoro e le idee di Sergio Leone sono senza confini,geografici e temporali,appartengono a chi vuol far del cinema un posto del cuore. |