Katniss (Jennifer Lawrence) in una scena del film
Le perfide Olimpiadi della Fame che il dispotico regime di Capitol City innalzava a suggestivo quanto consolatorio paternalismo verso il suo popolo stanno cambiando faccia. L’immagine mediatica,intesa a funzione di controllo del sistema,non ha retto l’impatto devastante imposto dalla ribellione e tutte le pedine che avevano contribuito allo straordinario successo del reality più innovativo sono praticamente scompaginate assunte da altre strategie e coinvolte in nuovi perfidi preparativi. Dicono che i meccanismi determinanti la popolarità di un film,di una saga siano a prima vista misteriosi e nel migliore dei casi riconducibili a strumenti di marketing ma sarebbe una deduzione dal passo corto. L’uso della propaganda assomiglia alla corsa in una strada che può essere perfetta con un tipo di auto,almeno fino a quando questa riesce ad avere i requisiti di macchina altamente performante. Inversamente potremmo trovarci al cospetto di un buco nero fra trazione e aderenza che non sviluppa per nulla il movimento e la prestazione desiderata. Gli Hunger Games hanno un motore disegnato sull’architettura del fantasy che implementa tematiche di largo respiro,attualizzanti e vicine alle sensibilità giovanili. Nondimeno veicolano una buona dose di idealità percorrendo le intere vicende,fornendo l’anelito giusto allo sviluppo dei personaggi che mostrano permeabile e varia identificazione in tutte le latitudini. La chiave dell’apologo diviene un elemento positivo che fornisce allettante feeling sia per lo spettatore votato all’intrattenimento che per quello non certo abituato a rimuovere dopo pochi giorni il ricordo dello spettacolo. In Italia abbiamo visto un caso emblematico al proposito con la diffidente accoglienza al primo (ottimo)
Hunger Games che trasformò la resa commerciale in flop. Poi il passa parola,recupero in video,maggiore confidenza con storia e protagonisti,interesse in rapida ascesa fino a conquistare un vasto target. La stessa produzione crede fino in fondo nel fondamentale rapporto con il trattamento letterario,ha cambiato sempre sceneggiatori proprio per improntare ogni storia di personalità nuova evitando di farsi travolgere dalla frenesia del sequel e mettere in rilievo il prototipo piuttosto dello stereotipo. Curiosità e senso rinnovato sono presenti ne
Il Canto della Rivolta – Parte 1 che pur inglobato in una logica narrativa interlocutoria e di attesa sviluppa diverso angolo e prospettiva nelle situazioni. Conoscevamo Katniss (Jennifer Lawrence) e la sua funzione di messaggio subliminale per il popolo schiavo ma alla luce della ribellione tutto il significato di Panem vale un’altra iconografia. Miss Everdeen concentra la forza d’istinto,androgina e guerriera che stabilisce il risveglio della gente. Quello della Ghiandaia è un ruolo nel quale si dovrà calare senza farsi macerare da dubbi e incertezze,lo pretendono i rivoluzionari ma la ragazza non è tanto fredda e calcolatrice. L’amore per salvare i suoi familiari e per ritrovare il desiderato Peeta (Josh Hutcherson) le sta abbattendo l’equilibrio,come uno specchio riflette un disagio dal quale forse vorrebbe anche uscirne con discrezione. Dall’altra parte il presidente Snow (Donald Sutherland) conosce finemente i modi del potere. Tenendo in pugno Peeta,di fatto prigioniero,gioca a scacchi indirettamente con la ribellione,così la luce ammaliante che si rifletterà su Katniss è il tentativo di addomesticare un simbolo pubblico. In questa partita dai toni prevalentemente psicologici,a tratti evidenti,a volte intimamente sommessi osserveremo un altro cardine vincente;un centro che determina azione e interesse in divenire per gli spettatori.