Il disastroso tsunami in 'Hereafter'
Le sequenze iniziali sono già indicative nel condurci dentro una storia dove la vita e la morte si congiungono muovendo meccanismi di racconto che faranno rileggere e riflettere la parabola esistenziale. Per una volta il cinema prende in prestito dalla realtà gli effetti speciali dalla realtà della spaventosa tragedia provocata dallo tsunami 2004 nell’oceano indiano che causò enorme cifra di vittime. In quella occasione la morte,vissuta per qualche attimo dal corpo fisico di una giornalista francese(Cecile De France)rimette in gioco il significato e l’interagire del corso vitale. L’esperienza,se così vogliamo chiamarla,vissuta nella visione di un aldilà dai contorni straordinari e definibili muterà il suo rapporto con il mondo circostante mentre la propria esistenza andrà,non senza traumi,verso nuovi possibili assetti. Altra storia parallela è quella descritta da un sensitivo(Matt Damon) che vive con fastidio il rapporto con questa natura cercando ostinatamente di scrollarsela di dosso. In mezzo il capitolo dedicato al tremendo impatto di un adolescente dopo la perdita del suo gemello trasformata in una solitaria odissea alla ricerca di un medium capace di comunicarci.
Clint Eastwood
Clint Eastwood mette in evidenza la propria personalità di realizzatore che guarda in modo didascalico quasi documentario il significato di una vita,accostandoci quello più temuto,ineluttabile legato al segmento fra la fine dell'esistenza ed un presunto passaggio oltre. Il suo si rivela un atteggiamento umile solcato da curiosità laica cercando di carpire e comprendere un input di scoperta. Il particolare riflettore lo dedica alla figura dei medium,personaggi osteggiati quanto ricercati,ovvero i mediatori neutrali ed aperti con quei canali impercettibili che si aprono nell’universo;I messaggeri che tessono un filo di speranza fra il nostro e quel mondo. Si potrà notare la predilezione mai tralasciata da Clint regista per il rapporto fra individuo e habitat motivandolo con contrasti interpersonali che in sincrono mettono in luce anche il tentativo di esplorare i conflitti interni all’io.
Peter Morgan
Ben presto il tema metterà in evidenza una buona consistenza narrativa come non accadeva da
Mystic River. Aiutata dalla scrittura elaborata da Peter Morgan
,giovane sceneggiatore
talentuoso(
Frost/Nixon) punta sull’attenta osservazione anche psicologica dei personaggi incastrandola in un unico filo che definisce pienamente il decollo di una discreta metafisica presente nello sfondo della pellicola. Le questioni legate al mistero,ai segni del destino troveranno compimento istintivo,senza peraltro la necessità di addentrarsi in istruzioni esoteriche ma limitandosi alla curiosa citazione su Charles Dickens.Nonostante un finale abbastanza frettoloso dai contorni dolciastri il film riesce a trovare un equilibrio complessivo poggiando su architravi che prediligono il disegno esistenziale ma proiettano a definizione intuibile l’innato desiderio di assoluto giacente nel profondo. La mente saggia di Steven Spielberg,presente nella produzione,fa sentire pressante la sua influenza.