Fellini, un ragazzo quasi perbene che amava la notte
Ettore Scola in “Che Strano Chiamarsi Federico” racconta un capitolo poetico
In auto per la città come nel salotto, persone e parole divengono ispirazione Nel docu-fiction di Ettore Scola,Che Strano Chiamarsi Federico ! si racconta in un mix di testimonianza diretta ed ellisse romanzata il percorso di amicizia e conoscenza fra lo stesso e Federico Fellini,ma non resta solo spazio per il ricordo o la rievocazione nostalgica. C’è un capitolo dalle tinte iperreali che mette in scena i giri in auto dei due per la città fra considerazioni,discussioni,dove attimo dopo attimo si perde come per magia l’aggancio con la giornata trascorsa,tramutandosi in zona franca dai multiformi assiomi di saggezza. La notte è la protagonista ma l’abitacolo della macchina è un perfetto contenitore stagno che difende i suoi passeggeri dal frastuono,dal caos. Le tenebre sono tenere guardiane che preservano la realtà di un viaggio dentro se stessi,spesso in compagnia di sconosciuti ospiti con i quali conversano amabilmente del più o del meno. Le chiacchiere non sono perdita di tempo per insonni ma hanno un potere mirabile,quello di trasformare le parole e le sensazioni in qualcosa che diverrà materiale per il lavoro di Federico. La chiamano ispirazione anche se il vocabolo per molti rimarrà pura definizione informe,astratta. Tecnicamente le sequenze sono dei camera-car in cui oltre i primi piani dell’abitacolo si vedono sullo sfondo le strade e il traffico di Roma,un notturno fotografato in bianco e nero con auto e insegne inequivocabilmente dei nostri giorni. Eppure questi momenti sono stati vissuti quaranta,cinquant’anni addietro ma la sovrapposizione degli elementi trasforma la dimensione della realtà in prospettiva onirica dove il tempo azzera la dinamica separando come in un set l’anima di un’inquadratura dall’inutilità di tutto quello che resta dietro la ripresa. In questo modo il girovagare di Fellini con l’amico Scola assume probabilmente le connotazioni terapiche del sonno rigeneratore. Una specie di riposo in veglia che distilla l’informe interiore,tirando fuori una suggestione,la catarsi di ore inesistenti che rivelano l’attimo di uno sguardo,gli schizzi,i volti di personaggi e cose pronti per una sceneggiatura dal sapore unico. Il rituale,se così vogliamo chiamarlo,porta in primo piano una genesi dell’artista che non ha nulla a che vedere con l’idea ortodossa della regola. Ettore Scola dice nel film che Federico “è un ragazzo perbene mancato”,ed in effetti anche dalle pagine che abbiamo descritto si denota una chiara disponibilità al trasgredire,ad intraprendere quell’inversione di rotta in cui la notte può divenire la tua complice,la madre protettiva per scalare sulla poiesi e carpire segrete immagini. Il volo,una perseguita condizione di libertà,è allegoricamente il termine di paragone più comparabile con le sue opere (dedicargli l’aeroporto della città natale,Rimini,è stata scelta idealmente encomiabile),perché le situazioni,le sensazioni traslate,la variabilità metafisica ed espressiva dei suoi film rimangono esemplari e anticipatrici anche per il miglior cinema moderno. Oggi è conosciuto universalmente come il regista più celebre della storia del cinema italiano ma quando uscivano i suoi film tanti critici gli rimproveravano scarsa aderenza e divagazioni dal reale. Una tendenza che non muore mai ma questa volta non facciamo dei nomi.
21 settembre 2013
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