Un'immagine tratta da Monuments Men
Un po’ tutti i film che hanno visto per scenario le vicende,la drammatica evoluzione della seconda guerra mondiale evocano,forse ancor meglio vedendoli attualmente,un coinvolgimento distante dall’emotività stringente dell’evento. A distanza di tempo per un alchimia che gli autori di quelle produzioni non avrebbero mai immaginato si produce un intervento spontaneo,culturale tale da infondere nello spettatore odierno un avvolgente senso,atemporale ma incisivo,di libera cognizione. Quella sfuggente sensazione di sentirsi protagonisti, senza catene esce dall’involuta e restrittiva condizione imposta da retorica e opportunità al significato del termine,prende per mano il racconto e lo trasporta a misura del piccolo barlume dentro ciascuno per un’azione degna da ricordare. Tante location,tante motivazioni di uomini sconosciuti eppure grazie al cinema la Normandia,Remagen e il suo ponte,le Ardenne nel 1944 sono divenute memoria senza tempo al di là dell’evento reale che senza leggenda sarebbero state chissà dimenticate. Quegli stessi luoghi oggi vengono ricondotti sullo schermo da George Clooney in
Monuments Men ma non c’è desiderio di guardare indietro fine a se stesso. Una novità è ben delineata,si evidenziano le gesta di alcuni uomini lontani dalla belligeranza ma motivati nel principale scopo nel salvare opere d’arte che la guerra e fini di appropriazione oscura cercavano di sottrarre alla conoscenza,allo sguardo del mondo intero. L’autore Clooney in questo frangente usa il format tipico del genere per estrapolare in chiave moderna il significato dell’arte che muove pensiero e condizione di uomini liberi. Un’opera,sia essa pittorica o scultorea,nel rigore e nella plasticità di una figura,nel rilievo di un colore ha la determinazione,il significante della libertà quanto del suo amalgama con l’originalità e lo spirito dell’uomo. Non vuole solamente ricordarlo,esplicitando l’evoluzione di un capitolo illuministico ma completa l’idea tipicamente in divenire dell’appartenenza globale. Un quadro realizzato da Renoir,Raffaello,Leonardo,Michelangelo o Picasso appartengono a tutti coloro con cui si stabilisce un’osmosi spirituale,un feeling senza confini,paesi,nazioni o latitudini ribadendo ancora una volta un concetto di libertà che abbatte distanze fisiche e culturali. L’opera non è un oggetto da esibire per vanità sotto un tetto di materia nel corto respiro localizzato di uomini avidi,si deve completare con esse il ciclo virtuoso di appartenenza universale. Il progetto tendeva a contrastare quello di Hitler,il quale le stava espropriando,aveva in serbo di radunare,selezionare,eliminare un’infinità di opere provenienti da Francia e Belgio per un’idea di museo unico senza diversità che sublimasse il principio di una cultura ufficiale,già obsoleto,lontano da evoluzioni perniciose per l’impero nazista. I soldati,intellettuali di
Monuments Men sono diventati protagonisti soltanto nel secolo successivo perché quelle gesta sommesse,nascoste dal fragore del fronte,suggellano il principio di un libero apprendimento,del solidale compiacimento di una scelta che solo alcuni decenni addietro poteva essere confusa con l’indeterminata astrazione. Il film sottolinea qui il profondo messaggio fra le pieghe del racconto che richiama solo nell’apparenza di un plot le pellicole di guerra.