Beetlejuice Beetlejuice è un film dove il regista pensa e si diverte con fantasia
Nessun dubbio sull’originalità della storia che sa evitare ripetizioni da sequel
Tim Burton dirige Michael Keaton (Beetlejuice)
Evocare e rimettere sul piedistallo un personaggio quale Beetlejuice crediamo sia stato per Tim Burton un dilemma di non poco conto. Una sfida con se stesso perché il circuito creativo che solitamente lo sorregge poneva almeno un dubbio facilmente intuibile. Il film che lo ha lanciato alla popolarità planetaria era lontano nel tempo e riportare in gioco le movenze del fantasma più adiacente alle disgustose sembianze poteva sembrare per niente espansivo o addirittura un ripiego. Le esigenze produttive di uno studios invece trovano sempre interesse mercantile,multipolare,a favore di qualcosa che nel lungo corso possa stimolare febbre consumista,un marchio riconoscibile per invitanti e tentacolari potenzialità di vendita. L’idea del sequel quindi,per un autore che ha dato il via alla saga più inventiva e pregiata (
Batman) nel cinema moderno contiene certo degli incentivi pericolosi ma basta saperli domare con decisa creatività per ricondurli al gioco originale. Burton da gran nocchiero ha il potere di guidare i suoi destrieri in una strada battuta ma che non potrà essere di nuovo la stessa. Molto articolata e impegnativa diviene un saliscendi dal fondo ben preparato che dovrà contenere l’apertura a picchi scintillanti di spettacolo e spingere la sua classica inclinazione darkness rivisitata con maggior slancio d’intimità.
Beetlejuice Beetlejuice si presenta innanzitutto come un’invocazione d’amore e riconoscenza per il personaggio che gli ha donato la celebrità. Beetlejuice (Michael Keaton) è posto in una centralità progettuale che servirà a dipanare svariati,curiosi intrighi, riuscendo a condurre al traguardo un risultato cui Tim Burton aspirava senza mezze misure;la consistenza comunicativa dell’impianto visionario. Il ritorno dello spettro più carnale ed empatico offrirà immagine e l’animo positivo più encomiabili nella gestione della storia,il pubblico non si troverà innanzi alla ripetitiva stanca vetrina di un brand famoso ma andrà a scoprire segreti ipnotici e qualche altra perla di buon valore. Il film pone in rilievo un substrato psicologico che guardi innanzitutto al nesso con la vita,privilegiata nei suoi passi giornalieri e riesaminata dagli imprevedibili accadimenti. Scetticismo e disaffezioni esistenziali sono perciò sentieri di fondamento che il binocolo di Burton osserva interessato. Anzi la vita suggerisce all’ingegno dell’artista soluzioni che aprono folgoranti ad un orizzonte profondo. Realtà e fantastico non sono incompatibili,convivono,magari si combattono,prefigurando una permeabilità d’immaginario che
Beetlejuice Beetlejuice ha saputo
configurare evitando stereotipi. Un invito per una terapia di gruppo molto speciale che riscrive in primis personaggi conosciuti come Lydia (Winona Ryder) e nuovi quali la figlia Astrid (Jenna Ortega). Piaccia o no,si dovranno spalancare delle porte particolari per la salvezza. L’apertura di confini ben protetti è simile a un viaggio di immigrazione per i protagonisti,vale la pena varcarlo per cambiare forse l’impasse esistenziale. Tim Burton pensa,si diverte costruendo un aldilà improvvido e parallelo ma non sarà l’Eden e nemmeno l’Inferno,si chiama Grande Ignoto. Gioca in casa proponendo nuovi palcoscenici fantasmagorici attestando con sicurezza che mondi sconosciuti riservino le migliori sorprese. Non dimenticheremo la sequenza del treno in stazione dove i viaggiatori attendono ballando a ritmo di soul music. Tantomeno la cerimonia di un poliedrico matrimonio,fra invitati e follower in video live,che si smuove grottesca sulle note di
MacArthur Park (Donna Summer). C’è spazio per un divertimento mai banale,per citazioni piccanti che colpiscono tendenze attuali e per l'omaggio al regista Mario Bava. Mentre le inquietudini di Delores (Monica Bellucci),spirito errante,corrono attraverso le immagini sperando di far giustizia su un passato oscuro del quale fu vittima.