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Quando si presenta il futuro
I Colori del Tempo compete con i big grazie a un passa parola senza eguali
Guarda a fotografia e impressionismo inseguendo lo spirito dell’avvenire

Suzanne Lindon in I Colori del Tempo
Suzanne Lindon in I Colori del Tempo
Una trentina di persone che non si erano mai incontrate e conosciute vengono convocate da uno studio legale per un’importante questione che li riguarda. Ciascuno di loro è stato rintracciato quale discendente di una donna e perciò legittimo erede di una casa a lei appartenuta nella campagna di Normandia,sita all’interno di un terreno che una multinazionale vorrebbe acquistare per costruirci un supermercato con annessi servizi innovativi. La proprietà diventa un grande investimento con requisiti sostenibili green e rispetto ecologico,così la presunta disponibilità progettuale dell’acquirente vorrebbe dimostrare interesse e fiducia verso gli eredi. La dimora ora abbandonata appartenne ad una signora nata nella seconda metà dell’ottocento,che ebbe tre figli,di cui non si conosce altro della sua vita e la casa resta disabitata dal 1944. Si ben comprende come la successione cominci a rivelare attrattiva tra i numerosi pronipoti anche considerando l’eventuale possibile congruo contratto da parte del gruppo edilizio. Alcuni rappresentanti ereditari si recano verso la sperduta abitazione nel nord della Francia con difficoltà,la natura sembra essersi riappropriata dello spazio fra rovi e impervi cespugli. Sono i primi visitatori dopo tanti anni che aprendo quella porta di cinte rurali si troveranno innanzi molte scritture e lettere,corrispondenze epistolari,immagini su foto d’epoca e soprattutto dei ritratti fotografici di una graziosa giovane. Potrebbe essere lei l’antenata misteriosa? Ma nella piccola magione é appeso qualcos’altro d’inesplicabile,una tela pittorica con degli schizzi asimmetrici di colore e un bel quadro di donna che forse si ritiene raffigurante la stessa delle foto. La dimensione invasiva di grande ricchezza pare avvolgere i pronipoti più di ogni evasiva promessa danarosa mentre attraverso le abbondanti prove di documentazione comincia a rendersi sensibile l’immagine e il candore di un’esistenza finora sconosciuta. I Colori del Tempo nei primi minuti fa un tuffo nell’eco di anni compressi dall’oblio lasciando presagire un lampo di futuro d’abbaglio reso da una modernità matrigna che cancella il passato con una colata di cemento. Invece stiamo per intravedere che il domani si crea dal basso,è celato e si muove piano piano emergendo proprio da quegli straordinari reperti visivi andando a ricongiungere la sua protagonista con la realtà dinamica di una vita vissuta. Come fosse supplica di un’evocazione la figura di Adèle (Suzanne Lindon) prende forma sullo schermo,quel volto femminile ignoto fino a pochi attimi prima lo vediamo nella sua interezza quando lascia la propria casetta a 21 anni. Timida e rimasta sola dopo la morte della nonna con cui viveva affronta un lungo viaggio,ma non pensiamo all’inizio patetico da triste romanzo d’appendice ottocentesco. Il gesto decisivo della ragazza nasconde una scelta piena di coraggio e vigore,va a Parigi a cercare la madre che la lasciò lì poco dopo la nascita. La città in quegli anni sta mostrando grande dinamismo e trasformazione,la meraviglia che suscita all’arrivo non sarà figlia d’ingenua attitudine ma è un sincero abbraccio per entrare in osmosi con il soffio formativo di essa. Quella caratteristica,in fondo di rimettersi in discussione,piace ai pronipoti che individuano nel desiderio della giovane di spezzare schemi chiusi e cristallizzati un anelito sicuramente contemporaneo. Céline (Julia Piaton),Guy (Vincent Macaigne),Seb (Abraham Wapler) e Abdel (Zinedine Soualem) in particolare avvertono quanto a sensibilità e sforzi intimi dell’antenata corrisponda la scoperta di insospettati legami,medesime tensioni,analoghi ricorsi esistenziali,che loro stessi provano e vivono nel quotidiano. Il film di Cédric Klapisch (tra i migliori della filmografia) scorre in discontinuità tra ieri e oggi cercando nelle arti il fascino segreto della memoria che insinua in tutta la storia una condizione metanarrativa inseguendo lo spirito di un futuro sempre taumaturgico. Pieno di sorprese guarda alla fotografia,alla pittura impressionista,quali mezzi e alchimia di lettura animista;le tracce delle nostre radici che in quelle reminiscenze scolpite lasciano il dna più esclusivo di noi stessi. Anche adesso,un selfie o un video creativo,hanno facoltà di possedere la stessa importanza rappresentativa di un ritratto personale fatto oltre un secolo fa,la chiave del passato non è antiquaria ma coinvolge il divenire.
Franco Ferri