Robin Wright 'cartoon' nel fantasioso The Congress
Arriva in un periodo dove il livello di attenzione verso il cinema cala precipitosamente ma non può sfuggire l’importanza tematica di una pellicola come
The Congress. A dettare l’agenda della discussione risulterà l’affabulante concetto di realtà polivalente,derivato dal riadattamento del racconto fantastico di Stanislaw Lem. Partendo provocatoriamente dal senso di traslazione il regista israeliano evolve la sua storia guidandola verso i poli estremi della fantasia con un affresco animato che rappresenti la costruzione,non costrizione,di una dimensione affascinante. Questa viene evocata da voli soggettivi e creativi riuscendo ad adagiarsi in oggettive rappresentazioni oniriche. Il cinema mostra la strada dell’apologo con talento,Maurizio Acerbi su
Il Giornale accende il fuoco del dibattito per una “
Pellicola cerebrale adatta solo ai cinefili duri e puri ”. A prima vista il soggetto potrebbe offrire spunto per una metacritica verso l’establishment hollywoodiano,quasi politica,reo di tramutare gli attori in interpreti virtuali senza età perennemente sullo schermo in un interspazio senz’anima. L’obiettivo non è certo questo ma il punto di vista vale la figurazione,lo start di un pensiero da cogliere oltre i confini del film. L’attrice Robin Wright,che interpretando se stessa accetta una sorta di contratto faustiano,determinerà la genesi di un altro modo di vivere il reale interagendo da personaggio in carne e ossa a quello tutto completamente disegnato. La mutazione è l’aspetto inebriante del film perché mostra nel divenire,nell’intercalare tra prima e seconda parte la quintessenza di un modus culturale attualizzante,non catalogabile più nella fantascienza o nell’irrealtà ma sempre più vicino e permeante all’umanità nel XXI° secolo. Segni di eterna giovinezza,volti che si rimodellano,prospettive allungate passo dopo passo,in piccolo questo modo di intendere non si sta già radicando nel vissuto ?
Federico Gironi
La sintesi e la scrittura cinematografica allenano e visualizzano nuovi step configurando la filigrana di altri livelli delle realtà possibili. Claudio Carabba su
Sette – Corriere della Sera lo sottolinea argutamente
,” Racconta non solo della metamorfosi del cinema ma anche della fine della realtà così come la conosciamo “. Difficile in ogni caso per un sistema culturale che ha sempre visto con sospetto e molta disattenzione analitica la narrativa fantascientifica accettare tuttora certe connessioni con essa. Però Samuel Taylor Coleridge già nel 1800 era antesignano nella propedeutica di una nuova chiave di lettura. Parlava di sospensione dell'incredulità,riferendosi al lettore di un romanzo,che deve interrompere le facoltà critiche per ignorare eventuali incongruenze e godere appieno l'opera di fantasia. Con molta preveggenza il concetto sembrava anticipare un modo di vedere e capire il cinema prima che esso nascesse,aiutando di fatto lo sviluppo della facoltà percettiva tipico nella comunicazione moderna. In questa maniera si sono evitati pregiudizi anche grossolani,ma oggi alla luce di quanto ci hanno lasciato Stanley Kubrick,Steven Spielberg o se parliamo di letteratura Arthur C. Clarke,Philip K. Dick,James G.Ballard o dello stesso Lem,la fantascienza ha trovato implicazioni con teorie filosofiche divenendo territorio adulto,ricco di humus e di assolute prospettive culturali.
“ The Congress é geniale e inquietante,Il suo futuro ti fa uscire dalla sala col nodo in gola ”,lo dice su
Libero Giorgio Carbone. Restano interrogativi causati da forte indigeribilità tematica messi in mostra da qualche opinionista. C’è chi si limita all’analisi epidermica dell’effetto cartoon evitando fastidiosi collegamenti con profondi archetipi. Fabio Ferzetti sul
Messaggero parla di
“ Un mondo di animazione 2D dallo stile incomprensibilmente old fashion (che rifà male i fratelli Fleischer) e il film precipita “. Per Gianluigi Rondi (
Il Tempo) queste relazioni sono invece lingua straniera che non fa mistero di ignorare
,” Gli schemi narrativi che le sostengono sono spesso a dir poco criptici,chiariti solo in parte nel finale ”. Sembra stupefacente che esperti di film non si siano accorti del personalissimo discorso di Folman tutto interno all’autenticità semantica e linguistica della cinematografia,al percorso imaginifico del sogno il cui alveo scorre parallelo con quello del mezzo espressivo. Se fosse entrato nel film con maggior dimestichezza,Federico Gironi di
Comingsoon,non sosterrebbe una tesi veramente parziale,dicendo.
“ Ibridare la fantascienza distopica e angosciante di Stanislaw Lem con un ragionamento nostalgico-luddista sulla morte del cinema. Al termine della visione,non è bene chiaro dove Folman volesse realmente andare a parare e se «The Congress» nasconda riflessioni o pensieri davvero necessari e urgenti ”. Il regista va oltre Lem oltrepassandolo ampiamente,e il critico non s’è accorto che la storia non s’incarta su nostalgia e presunta fine del cinema ma prende ben altre strade. Il film risulterà straordinario compendio meditativo sul percorso delle nostre vite che sono alle prese con una configurazione sistemica da espandere oltre la sfera del tangibile. Le virtualità del pensiero acquistano la stessa concretezza delle oggettività finora conosciute e sono la risultante di qualcosa ormai quotidiano. Con maggior acume intuitivo,Goffredo Fofi sull’inserto del
Sole 24 Ore si rende conto di questo vibrante allargamento culturale e seppur vede,
” Folman preoccupato che il cinema cambi troppo”,sottolinea un’evidenza,
” Egli accetta spregiudicatamente di tuffarsi in quello di oggi,è eclettico nelle immagini,ma che immagini sa proporci ! ” In definitiva possiamo affermare che
The Congress per la sua natura poliedrica dona un piacere robusto fondendosi a meraviglia con mente e vista. L’immaginario floreale e stilizzato delle forme irrompe dallo schermo con tonalità visionaria e psichedelica avvicinandolo a quel sogno cosciente che ciascuno vorrebbe nel proprio microcosmo.