Clint Eastwood
Le proiezioni italiane di
American Sniper stanno diventando un esperimento interessante da valutare attentamente per il semplice fatto che sono state le prime a diffusione commerciale dell’intero mercato globale. Tra sorprese e un impatto straordinario,inatteso al botteghino nascono valutazioni dalle quali vengono preferite alle topiche del film stesso opinioni legate a fenomeni emotivi o di tipica risonanza politica. Dicono con semplicismo che il successo vada addebitato alla suggestione dopo il sanguinoso attentato a Parigi ma la vicenda del cecchino Kyle era già in testa al box office due giorni prima del tragico fatto. Molto più verosimilmente c’è un legame empatico tra il pubblico italiano e Clint Eastwood notato al tempo di
Gran Torino,storia di ordinaria conflittualità tra indigeni e stranieri,che comunicava senza filtri l’inno
evergreen legato al Dio,patria,famiglia. L’animus polemico che suscita e la contemporanea pluricandidatura agli Oscar trova aggancio per far arrabbiare ulteriormente alcuni.
“ Nella cinquina dei candidati alla miglior regia manca il nome di Clint Eastwood. A meno che qualcuno non gli rimproveri a mo' di peccato mortale di aver fatto un film di destra “. Così sentenziò su
Libero,Giorgio Carbone. L’accontenta sul
Secolo XIX°,Michele Anselmi che non risparmia il messaggio ingombrante uscito da
American Sniper. “ Eastwood,invecchiando e smessi i panni dell'anarchico umanista é tornato ad essere un repubblicano doc,magari pure guerrafondaio e fascista ”. Vorrebbe aggiungere un pizzico di peperoncino,Federico Pontiggia,sul
Fatto Quotidiano,precisa e rimbrotta delle profonde convinzioni di Clint.
“ Più che imperialista e aggressivo,lo sguardo di Eastwood è conservatore,reazionario: vorrebbe e lo impone tramite Kyle il superuomo.” Se il cecchino non dà ironia,ci pensa il critico del
Fatto alludendo ai due milioni di persone che finora hanno visto il film.
“ Gli spettatori italiani hanno voluto mettere il dito sul grilletto di Kyle,l'hanno anche premuto ? ”
Vittorio Zucconi
Uno scatto d’umore pervade invece Claudio Carabba (
Sette inserto Corriere) che chiede dì allontanarsi dalle secche di uno sterile dibattito politico per riportarci al primato della critica cinematografica.
” Macché inno all'imperialismo amerikano ! Il film è un nuovo capitolo del romanzo sulla solitudine degli uomini armati e sulla linea d'ombra che separa gli eroi dai cavalieri maledetti,imperdonati e forse imperdonabili ”. Il concetto di eroe abbinato al cinema è qualcosa che va oltre la faccia della guerra,al di là di certi ritratti legati alla propaganda,ma non devono contenere contraddizioni ideali,e una di queste l’avrebbe confezionata,secondo Paolo Mereghetti sul
Corriere della Sera,proprio il regista californiano.
” Il monumento all'eroismo individuale di chi fa il proprio dovere. Dimenticando così proprio la lezione che solo qualche anno fa lui stesso ci aveva dato con l due film sulla battaglia di lwo Jiina: che gli eroi non esistono ”. Fabio Ferzetti (
Il Messaggero)
osserva Chris Kyle sotto l’aspetto drammatico in particolar modo extra guerriero sottolineando come “
L'empatia di Eastwood non basta a coprire i vuoti di una sceneggiatura troppo generica sul fronte intimo e coniugale per dare al personaggio la complessità,non sempre le storie vere convengono al cinema ”. In ultimo ospitiamo l’opinione di un personaggio che non è certamente esperto di cinema,forse ci va anche troppo poco ma il suo contributo sarà importante come ponte generazionale e conoscitore del substrato americano. Visto da lontano il cinema appare così vicino ad una sensorialità che implementa tante culture diverse,tanti modi di rendere l’apologo belligerante sullo schermo,ieri il sud est asiatico,oggi Iraq e Afganistan. Vittorio Zucconi su
La Repubblica afferma
,“ Hollywood si sta avvicinando,con fatica,ai Kubrick,ai Coppola,agli Stone,ai Cimino dei grandi film che spalancarono l'armadio dell'assurdo entro il quale era nascosto il Vietnam,ma non ci siamo ancora ”. Con indiretta parafrasi e celata nomina del protagonista si evidenzia la chiara bocciatura di Clint Eastwood a rappresentante nell’empireo dei grandi che hanno riletto il malessere delle guerre.