Margot Robbie rompe gli argini in Babylon
L’arrivo sulla scena di
Babylon e la conseguente risonanza prodotta sono stati fatti molto significativi riportando alla ribalta un sostenuto dibattito che da tempo non si verificava. Come accade per gli eventi speciali,”
Ha diviso la critica e dividerà il pubblico per le sue smisuratezze” suggerisce Valerio Caprara (
Il Mattino). Per di più sostiene il modello di uno spettacolo che progetta il sogno
,” Il desiderio che spinge centinaia di milioni,e anzi miliardi di uomini e donne nell'antro buio di una sala,dove insieme sognano di essere più felici di quanto sono” secondo Roberto Escobar (
Il Sole 24 Ore). Il film incentrato sugli anni del passaggio tra muto e sonoro diviene splendida occasione non tanto per ricordare un’epoca ma per rileggere,ampliare il senso profondo della settima arte. Damien Chazelle predilige raccontarlo per emozioni che si afferrano quasi fossero estrapolate in una discesa psicanalitica molto duttile. Un’efficacia evidenziata da simboli e percorsi sia armonici quanto tortuosi che la rendono realmente nitida nella rappresentazione dei lati oscuri,fantasiosi delle origini. Nel passaggio tecnologico ci sono momenti caotici che ne rimodelleranno l’idea espressiva e il film illustra con massima purezza visionaria quel coacervo di culture,miti,cronaca,ritagli di sana follia,entropicamente piazzati dentro la macchina del cinema. Fa dedurre la messa a fuoco di una nuova espressività che stava maturando fondendosi con le inflessioni dell’idioma umano,ma diviene centrale il viale dell’emancipazione.
Babylon fa distinguere il riconoscimento di una forma genetica attraverso la natura stessa della cinematografia usando un linguaggio prossimo a Fellini e Kubrick e permettendo alla luce dei nostri giorni di concepire tutta l’ampiezza di una mutazione ancora in corso. Ammette Mariarosa Mancuso (
Il Foglio),”
E' bellissimo.E molto generoso”. Il film sa parlare al presente con slanci futuri ma vuol ricordarcelo Alessandra Levantesi Kezich (
La Stampa) meditando sul doppio indirizzo della pellicola,“
Allude soprattutto alla Hollywood di oggi ma con un finale che è ode del cinema”. Molto interessante è la composizione degli elementi che s’infuoca nelle parole di Maurizio Porro (
Il Corriere della Sera),”
«Babylon» è un party selvaggio,Film folle,ambizioso,babilonese d’animo,tende all’estetica dello squilibrio che contiene l’esistenziale contraddizione”. Per certo nella storia non ci sono filtri ipocriti lasciando in tal modo alla narrazione tanta fluidità
liberal che non si vedeva da anni,”
Immagini fatte di carne e sangue” sentenzia Fabio Ferzetti (
L’Espresso),ma è stata con ogni probabilità l’abbondanza di sesso esplicito a non rendere vita facile al film agli Oscar emarginandolo fin dalle nomination.
Diego Calva, protagonista rivelazione in Babylon
C’é un’America proibizionista che ancora resiste e sentenzia,così si evidenzia dall’opinione di Eileen Jones,tradotta per l’Italia da
Internazionale,divenendo un perfetto esempio inquisitorio. Così s’esprime,”
«Babylon» mi ha disgustata,il regista adotta il tono di un idiota di provincia che ha appena scoperto che le feste di Hollywood possono diventare piuttosto sfrenate e non riesce a farsene una ragione,molto brutto visivamente”. Sorvolando questioni strettamente cinematografiche la timorata signora si lascerà sopraffare da moralismi bigotti,o che dir si voglia bacchettoni,che imprimono la costante ripetitiva di una società irrigidita senza ansie di cambiamento. Per Silvio Danese (
Quotidiano Nazionale) la pellicola risulta,”
Esorbitante e macchina infernale”. Ha senz’altro scosso Simone Emiliani (
Sentieri Selvaggi),
“Pellicola che non ha né carne né cuore e distrugge tutto quello che crea celebrandolo nel prevedibile e orrendo finale”. Sembra chiaro che se
Babylon fosse stato meno esplosivo,più retorico e pieno di inganno consolatorio gli sarebbe piaciuto ! L’ellisse spiazzante produce difensori a oltranza ma tentare per regola di buttar la palla in corner è un gioco nichilista. Invece Federico Pontiggia (
Il Fatto Quotidiano)
ravvisa e allarga il concetto prima espresso,ovvero che,
”La critica patria non gli ha perdonato il reato di lesa maestà hollywoodiana”. Il destino dei grandi film s’incrocia quasi sempre con palesi incomprensioni dei loro contemporanei per ciò ricorderemo fino allo sfinimento,
2001: Odissea nello Spazio,anch’esso in principio sottovalutato,che venne premiato all’Oscar 1969 solo per i
Migliori Effetti Visivi. Non è un caso come il capolavoro profetico di Stanley Kubrick abbia ispirato in Chazelle il senso archetipo che andrà a scandire nella propria storia. L’uomo nel suo viaggio usa la tecnologia quale strumento per esprimere creatività cercando in essa una personale definizione arcana e i film sono il prodotto di un’arte figurativa che riscrive quel movimento esprimendo nel contempo visione evoluzionista.
Babylon accompagna uomini,sogni e incubi quasi riproducessero in quel confine indistinto tra ordinarietà quotidiana e unicità del cinema,il conflitto di ognuno per scoprirsi immortali. Le storie filmate si trasformano nell’epica di specie e possono giustamente dare fisionomia plausibile alla parabola misteriosa delle esistenze. Sulla medesima lunghezza d’onda sembra trovarsi,Mauro Donzelli (
Comingsoon.it),”
Si lascia andare a ogni eccesso pur di arrivare al lirismo assoluto,a quell’allineamento dei pianeti fra macchina,attore e luce che produce la magia del cinema”. Crediamo che sintetizzi
Babylon in modo egregio cogliendone spirito e ragione ispirativa. La Città degli Angeli ha un ulteriore capitolo per arricchire la sua terrena,eterea filmografia fatta da personaggi indimenticabili. Ma quella Los Angeles hollywoodiana che mette in scena la straziante danza di vita e morte consente uno spazio superiore dove libertà e voli possono essere ammessi senza condizioni. Concede desiderio d’infinito,illusione o reale traslazione dei nostri mezzi,inseguiti per diletto o casualità ma che si materializzano attraverso le proiezioni dei film.