Timothy Spall in Turner di Mike Leigh
Spesso chi va a vedere un film biografico è animato dal desiderio surrogato di plagiarsi nelle sembianze di un’epoca,ma scoprendo
Turner potrebbe essere fuorviante avere come riferimento soltanto l’ambiente e i passi quotidiani della sua vita. Avverte questa esplicita sensazione Emanuela Martini (
Il Sole 24 Ore).
“Non ha mai i toni epici che contraddistinguono quasi tutti i biopic,non è un collage di momenti creativi ma cerca il meccanismo attraverso il quale umori,dolori si traducono in un'arte visionaria e anticipatrice.” L’artista per Mike Leigh si compie nello stile consueto dei personaggi che finora ha rappresentato cercando uno sviluppo naturalista,da non confondere con realista,dal quale possa uscire sintesi cristallina di carattere e specificità dello spirito. Il film si espande nei venticinque anni finali dell’esistenza del celebre pittore inglese,guardandolo crediamo sia importante cercare la percezione assorbita dalla fotografia di Dick Pope perché in questa risiede una chiave primaria per comprendere il lavoro. La luce che permea la quotidianità è la stessa che William Turner consuma,e per figurazione traspira,davanti agli occhi e dentro l’anima lasciando all’artista attraverso il pennello di ricreare in quelle gradazioni di colore la suggestione,il mistero intorno a lui. In questo frangente sottolinea il verbo Roberto Escobar (
L’Espresso),facendo comprendere quanto il rapporto tra colore e tela divenga un catalizzante metafisico.
”Splendida immersione nella sottile potenza della luce e dei colori,alla ricerca di un limite che non c'è”. Il racconto quindi prende le distanze dagli episodi di vita come determinanti nell’opera medesima,semmai questi hanno protagonismo a partire dalla morte del padre. Quando si trasferirà,vivrà il nuovo domicilio in quanto prefigurante di maggior anarchia nelle pulsioni amorose e maggior libertà per dare indole espressiva alle ossessioni di uomo burbero e un po’ chiuso in se stesso.
Mauro Donzelli
L’ossessività che diventa arte però non piace a Maurizio Acerbi (
Il Giornale) che afferma,
“Rovinato da una eccessiva lunghezza che esaurisce subito i suoi temi,riproponendoli poi in maniera ossessiva”. Il tema al contrario è inestinguibile a causa dello stretto legame che legherà uomo e arte,così il film diviene supporto autorevole proprio intessendo su questo filo,la conferma viene da Alessandra De Luca (
Avvenire).
“Turner è ossessionato dalla bellezza che doveva vedere con i propri occhi e sentire con il proprio corpo per poter restituire la verità di tempeste e tramonti “. La scoperta della fenomenologia che altera,ricopre,distorce la materia attorno assegnandogli una dimensione nuova e piena di pregnanti interrogativi per l’uomo illuminista,lancia le basi per quell’arte riconosciutasi nell’aspetto informale fino a declinare il moderno astrattismo. Sotto molti aspetti il riferimento su cui disquisisce Gianluigi Rondi (
Il Tempo) è fuorviante,puramente accessorio non tenendo in buon conto la centralità significativa e la diversità della luce nella pellicola
.“ Vivo senso del cinema specie in quella fotografia che rievoca la Londra di quegli anni con pastoso realismo accostato ai magici colori della tavolozza di Turner.” Le inquadrature,le sequenze composte da tenui colori d’interno intersecano l’esterno di nubi,vento,campagna sposando la grandezza arrabbiata del mare sembrano la composizione asimmetrica nata dal sogno. Il pittore inglese ferma e controlla nel quadro l’inconscio bisogno di autoanalisi. Antesignano di tecniche tuttora in movimento nel ritratto della natura esorcizzava timori e ricordi ma forse qualcosa lo tormentava senza che potesse far nulla. La tavolozza e il fascino del dipinto stavano per venir messi in discussione dalla rivoluzione fotografica,per l’appunto Mauro Donzelli (
Comingsoon.it) ricorda il capitolo del film
.“Turner sente il peso del mondo che cambia,la sua paura è che un paesaggista come lui possa essere presto inutile in un mondo in cui una macchina infernale in pochi secondi produce delle fotografie impeccabili”. Non ci sarà una sovrapposizione dell’una sull’altra, l’immagine istantanea che sorgerà dal contatto chimico imporrà senza dubbio nuova disciplina e innovativa branca del pensiero ma non potrà mai rivelare la foto dell’anima come la pittura. L’evoluzione non taglia,unisce,intesse ulteriori linguaggi e per incanto l’arte nata dalla camera oscura ha dato forma ad una nuova creazione di luce. Il cinema,più di cent’anni dopo,sarebbe stato avvicinato alla pittura per la sua poliedrica capacità espressiva fatta di tecnologia che si adagia nella dimensione compositiva e traslativa non riferita ad un singolo quadro ma sviluppata in un’intera sequenza dinamica.