Dirk Bogarde, Protagonista in Morte a Venezia
Durante i mesi di pandemia si è fatto un gran parlare su come potrebbe cambiare il mondo attorno a noi e su quali indirizzi dovrebbe soffermarsi l’indagine umanistica per avviare tale processo. Il dibattito sul futuro del post emergenza rischia l’effetto tormentone per eccesso retorico senza far intravedere una strada efficace,ma non saranno la frivolezza e le superficiali considerazioni a tarpare le ali a credibili fisionomie di un cambiamento d'altra parte improrogabile. Adesso purtroppo la verità glacialmente pressante sta comunicando che la fine dell’insano periodo non sarà affatto breve e noi non possiamo conoscere come si presenteranno le fotografie e le gradazioni di quel momento quando il virus sarà scomparso concretamente. Per cercare in ogni caso un’anticipazione con buon accostamento possiamo prendere in prestito dalle arti dei principi adattabili che hanno facoltà di virtualizzare rendendo plausibile un affresco,l’alchimia di elementi dal soffio vitale idonei a generare o rigenerare il palinsesto del possibile. Spostiamoci sulla letteratura prendendo l’opinione interessante dello scrittore Yan Lianke,il quale sostiene che in Cina
,” Prima dell’esplosione del coronavirus la conforme disciplina degli scrittori aveva accettato ruoli subalterni e ininfluenti,non assumendo posizioni,non denunciando e rintanandosi in una nicchia di sopravvivenza”. Al presente quando la diffusione virale nell’universo cinese sembra alle spalle,continua Yan Lianke s’impone per gli intellettuali un dovere inalienabile
,” Devono raccontare le persone e i fatti indagando cause profonde e l’approfondimento imporrà di affrontare il mezzo letterario usando dettami senza più steccati che gettino le basi per correnti coraggiose e nuovi stili ”. Chi ha consuetudine con la materia cinematografica potrebbe adattare quelle basi a manuale seppur il microscopio dell’immaginario visivo pretenda dettagli e capitoli maggiormente analitici. L’esperienza Covid con verosimiglianza sta forgiando negli individui per incalzante afflizione una simbiosi inaspettata,dinamica,veloce tra mente e realtà. Si avvicinano prospettive ancora tabù nelle quali l’uomo dovrà specchiarsi,riconoscersi al fine di plasmare un altro rapporto con la vita e con gli stessi mezzi interdisciplinari che combinano la costruzione dell’arte. Il cinema,in quanto forma di scrittura per immagini,nell’architettura culturale di domani continuerà a giocare un ruolo determinante perché storicamente ha sempre posto la prima pietra come perfetto testimonial nelle svolte epocali. Le strane dicotomie presenti,e le impronte che si metabolizzeranno dopo il trauma del virus,dovranno accentuare nelle sceneggiature la migliore disposizione alla creatività,l’arte del resto si pone quale principale strumento di redenzione. La scoperta di un’interiorità permeabile al percorso del coinvolgimento sensoriale auspicherà un necessario e sincero processo per esaltare la naturalezza del divenire. Questo atteggiamento aiuterà ad evitare l’ipocrita artificiosità e le false rappresentazioni dei racconti,l’arte ha un compito autentico e irrinunciabile essendo il mezzo più elevato per educare. Nella storia del cinema abbiamo trovato una prova lampante e di chiaro insegnamento che oggi appare straordinariamente profetico non solo per gli aspetti significanti ma per le odierne,agghiaccianti coincidenze degli eventi narrati.
Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti é una magistrale connessione tra uomo ed epidemia inaspettata,quando il protagonista di fronte alla dura circostanza si rimette in gioco lasciando che il suo personale blocco affronti quelle sofferenze senza paraventi scoprendo lidi di grande ispirazione. Il film apre la strada a una visione che lega le profondità insorgenti con quelle della più pura motivazione artistica. Resta esemplare nella raffinata idealità di mondi che si sovrappongono,scontrandosi dove il fragile supporto umano libera un lato così potente da sublimare l’essere di bellezza,e rivoluzionarlo con implicite domande sul concetto esteso di espressione. Realizzato da una rilettura stilizzata del libro
La Morte a Venezia di Thomas Mann (1912),scritto dall’autore dopo una vacanza nella primavera del 1911 sulla laguna veneta in cui scoppiò un’epidemia di colera che fece molte vittime durante tutta l’estate seguente. La trasposizione cinematografica del romanzo per Luchino Visconti non si limita ad essere collocata nel più algido promontorio del decadentismo romantico,ma vista oggi colpisce per la struttura dei capitoli che virano e vibrano a poco a poco nella composizione onirica fino ad assumere completo meccanismo metanarrativo di plastica,esigibile fruizione contemporanea. La storia segue il viaggio veneziano del musicista Gustav von Aschenbach,interpretato dall’attore inglese Dirk Bogarde,che cerca nel riposo una riconciliazione da drammi familiari e con sé stesso a causa di una spiccata crisi artistica. La visione di una creatura dalla bellezza idealizzata fa suscitare nell’uomo una prospettiva estetica che in quel momento genera in lui stato confusionale ancora maggiore. Il dolce tepore estivo della laguna sta sommessamente scemando a causa di una strana atmosfera che s’insinua. Troppe reticenze si aggregano,vicoli e calli di Venezia non sono più gli stessi per la presenza di manifesti delle autorità sul pericolo e per improvvise opere di disinfezione. Gli ospedali non hanno più posti,le attività potrebbero venire frenate,e certi egoismi non sono facili da dimenticare
. “ Provi a immaginare Venezia senza turisti ” è la risposta che riceve l’ospite da un autorevole interlocutore. L’epidemia di colera si sta espandendo,l’impronta che il virus sta mostrando non rilascia soltanto causalità patogene nella spazialità geometrica. In maniera impalpabile penetra con cinica sottigliezza nel quotidiano rendendolo sospeso,mettendo gli individui al cospetto di risposte dal tenore indefinito. Gustav sfiderà l’ordine di quarantena in città e l'estrema contagiosità nell'aria mentre comprende che la condizione interiore è ancor più irrimediabilmente corrotta,malata e sovrastata da una sporca ambiguità molto lontana dai suoi precetti. Invece intuirà tra le macerie del dramma privato e collettivo quanto questo sarà importante per l’artista al fine di raggiungere confini che sembravano insormontabili. Le forme creative non sono ritratte dall’indifferenza,dal moralismo e dal rigore assoluto ma si perseguono nell’imprevedibile molteplicità orientata dai dubbi. In
Morte a Venezia riecheggia esigenza estetica associata al rinnovamento individuale che nasce dalla fusione tra dolore e catarsi demandando nuove ipotesi di rappresentazione. Nella dilatata epidermide della laguna si manifestava il dilemma umano,il disincanto del reale,la presa di coscienza e il distacco da un mondo che se ne andava accompagnando la fine di un’epoca con tutto l’immaginario e la vacuità di riti ormai solo cari ricordi. Luchino Visconti consegnava un’idea di cinema che diventa straordinariamente atemporale e purtroppo odierna nell’espressione allegorica,tra vivida costruzione architettonica e quelle tonalità pittoriche dal taglio discretamente astrattista. Per triste evocazione risulterà intuibile e ricca di nuove vie dell’arte che possiamo implementare come grandi lezioni da non sottovalutare.