“Magnifica Presenza”e le tipicità naif di un regista che ama l’oggetto da cucina
I suoi film hanno sempre goduto di estrema attenzione,ma adesso ?...
A cura di Franco Ferri
Ferzan Ozpetek
Durante l’intervista in una nota trasmissione Rai,veniva rivolta a Ferzan Ozpetek la domanda più attraente ma al tempo stesso più insidiosa che un regista possa ricevere. Si può comprendere nel breve attimo di una frase quanto logorio esista nel dietro le quinte di un film come pure ascoltare la metafora meglio esplicativa di un profondo senso dell’arte. Il suono nell’etere ha trovato genesi da queste parole
“Che cosa è la regia”,e la risposta immediatamente sincera di un prolifico praticante del mestiere scandiva,”
Assomiglia allo scolapasta” . Forse sarà per la sindrome nata dai critici francesi che bastonarono
Mine Vaganti associandolo all’idea di una pubblicità della pastasciutta,però scegliere questo paragone,distante da un’equazione cinefila, dà alla creativa attività del film maker una funzione passiva e di supporto. I grandi chef scelgono prima la qualità della sfoglia e del taglio,acqua nella giusta temperatura e sale,l’atto di scolare possono delegarlo anche ad un sostituto. Non ci è piaciuta affatto la dichiarazione dall’effetto marcatamente grottesco,la cui efficacia risulta tuttavia più densa di tante sequenze omologhe tentate nei suoi film.
'Magnifica Presenza'.Il Cast
Nonostante l’appunto di colorita incertezza,i lavori da lui diretti a partire dalla fine degli anni’90 hanno sempre goduto di incondizionata fede critica. Quasi mai nessuno si è posto interrogativi in profondità sulle pellicole,in molti hanno fatto sport di arrampicata sugli specchi per scovare pregi che al contrario i recensori esteri vedevano in forma di carenze. Possiamo sintetizzare di trovarci innanzi una delle maggiori sopravvalutazioni del cinema di questi anni.
Magnifica Presenza in molti aspetti riconferma le tipiche caratteristiche di Ozpetek,anche se questa volta il panorama dei critici non sembra univoco. Il giudizio vagamente astratto ma certo dell’assoluto emesso da Alberto Crespi sull’
Unità canta così
, “ La sua opera più intima e ambiziosa,in cui ha calato una riflessione anche dolorosa sul mestiere stesso di cineasta “,per alcuni versi va associato a quello dell’altro giornale capitolino
Il Messaggero scritto da Fabio Ferzetti che in modo austero scrive,
“ 1943,attenti alla data la memoria collettiva del nostro paese,la sua incapacità di fare i conti con il passato (la metafora dei fantasmi è trasparente),la necessità di affrontare una buona volta questi nodi sepolti capace di estrarre all’improvviso da tutti questi materiali né nuovissimi né perfettamente governati,un sentimento forte e preciso “.
Fabio Ferzetti
Nel qual caso si potrebbe obiettare che quegli elementi hanno una valenza epidermica e leggera introducendo contraddistinguo fatto di segnali nostalgici e puramente consolatori disegnati sul passato. Poi vediamo i recensori dubbiosi dai quali traspare un certo verbo di sincerità che per ragioni probabilmente editoriali adegueranno i loro pensieri con prefabbricate dosi di insincera par- condicio. La facile deduzione leggendo Michele Anselmi su
Il Riformista,” Ogni tanto a un passo dal ridicolo,e tuttavia nel bel finale strappa una commozione sincera “. Fra le pagine dei cerchiobottisti ritroviamo Gian Luigi Rondi che su
Il Tempo dichiara
,” Il suo racconto,pur tra varie esitazioni,si svolge con una certa semplicità anche quando,forse ricordando Pirandello,si è mosso tra apparenza e sostanza privilegiando la prima,però senza strappi eccessivi “.
Roberto Escobar
Quelli che hanno optato per il pollice negativo preferiscono la frase forte e ben delineata,primo fra tutti Valerio Caprara de
Il Mattino,il quale non si pone titubanze
,” Peccato che stavolta lo slancio autoreferenziale e la disinvoltura creativa si addensino al livello di allarme rosso e sprofondino in un supershow narcisistico,farraginoso,stridente,pretestuoso e pretenzioso ”. Anche Roberto Escobar sull’
Espresso si attiene sul supporto del film senza divagazioni ampollose
,” Regia e sceneggiatura si preoccupano di mettere in scena il confine labile tra recitazione e vita... certo non le giova la visione (cinematografica) del mondo di Ozpetek,più incline a caricaturarle che a filosofeggiarle “. La recensione più curiosa e per certi versi arrabbiata è quella di Alberto Silvestri sul
Manifesto,sarebbe anch’essa da riporre nel lato dei lodanti,se non intervenisse proprio nel finale una ragione che in qualche maniera sembrerebbe offendere e banalizzare la formazione culturale del critico. Dice che
“ Sarebbe un buon film,non fosse per un orrore di copione,quando il fantasma ormai informato sul proprio tragico destino ma tranquillizzato perché Hitler fu fermato,è costretto ad aggiungere : «Ma è stato abbattuto anche il comunismo »
? E se cancellassero la battuta dalle 400 copie del film ? ” La prova lampante che la nostalgia ozpetekiana non era perfetta.