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Now You See Me, scopriamo i trucchi dei critici
Il talento dei Quattro Cavalieri, provocatoria allegoria su tutto ciò che è vero
Quelli che usano il gioco delle parole per affermare tutto ciò che non è vero

A cura di FRANCO FERRI

'Now You See Me', I quattro protagonisti
'Now You See Me', I quattro protagonisti
Saper raccontare un bel film agli altri è un po’come fare un gioco di prestigio. Non si può ostentare linearità ma in una breve raffica di giuste parole la complessità di un tema o di uno stile va trasformata in splendida semplicità. Il mago della sintesi in forma di sintassi riesce a trovare l’equilibrio. Il medium del verbo comunica la sostanza di verità nell’attimo in cui il dubbio sembra ingrandirsi lasciando a quest’ultimo l’ultima illusione beffarda prima della luce. L’ideale di un critico cinematografico così vicino alla perfezione,figlio di un evoluto sistema culturale e informativo che crediamo neanche Darwin potesse supporre,è soltanto un frutto proibito immaginato forse a misura di un nuovo supereroe di là da venire. Affascina il senso e il talento dei prestigiatori visti nella metafora lungimirante di un film che afferra e comunica messaggio inusuale. Now You See Me (ora mi vedi) è un’opportuna quanto intelligente testimonianza,la traccia che sprigiona fascino arcano nel dibattito su illusione e tangibilità trascinando tutto ciò che è vero. Un racconto intrigante e filosofico sul rapporto uomo e conoscenza che matura esplosivo nel capitolo di un bivio non previsto. E’stato la sorpresa positiva dell’estate,non solo per l’anemico box office stagionale,prendendo in contropiede i teorici del significante preconfezionato. Accende fantasia e acume,non poteva non essere accostato ad un match di critici che con questi film vanno spesso in fibrillazione,troppo moderni per una decodifica efficace,poco riconducibili ad un pensiero di taglio analogico. Il corposo elemento morale,didascalico dentro la storia viene comunque riconosciuto da opinionisti sensibili ai temi.

Anna Maria Pasetti
Anna Maria Pasetti
Scrive Anna Maria Pasetti sul Fatto Quotidiano. Si offre alla metafora della crisi contemporanea,declinata sul fallimento dei colossi bancari a stelle & strisce che in un batter d'occhio fecero sparire i risparmi di mezza America ”. Per questo piace al commentatore del Manifesto,Antonello Catacchio,” Imprevedibilità,dialoghi frizzanti come poche volte si vedono al cinema,c'è poi un risarcimento,fantasioso ma significativo, nei confronti degli abitanti di New Orleans devastati dall'uragano Katrina e dall'avidità umana.“ Termina infine la sua analisi Catacchio,” Solo il finale paga pegno”. Non sarà spoiler ma nel finale c’è invece la vera ricchezza della pellicola,ci spiace per l’opinionista che si è perso il quantum di un epilogo convalidante il percorso di tutta una storia.D’accordo nella valutazione sociologica,però questa non avrebbe potuto aver luogo se non ci fosse stata una causa latente ma motivante nei protagonisti che ha smosso azione iniziatica cambiando le carte delle vite loro e altrui. Il critico non accede ad un livello simbolico superiore presente oggettivamente nel film che sta a suggellare un’opera molto originale,tuttavia non può ovviamente essere visto e riconosciuto per un errore di sceneggiatura. Forse per lo stesso motivo ci casca Roberto Escobar che afferma sull’Espresso,“ Una sceneggiatura piena di ambizioni,e ancor più di buchi ”. La dinamica dei prestigiatori non persegue l’illusione fine a se stessa,segue una linea disciplinata da credo,fiducia,aspettativa per affermare non il protrarsi del dubbio o la sublimazione dell’inganno (chi ha visto il film attentamente può capire),rivelando successivamente una forma di nuovo reale perseguito che offre innegabile beneficio. Alcuni opinionisti all’inverso hanno praticato il trucco e l’ipnosi delle parole non per rivelare una qualsivoglia novità ma per nascondere coloritamente al lettore le lacune del critico e soprattutto la tesi provocatoria della vicenda. Va in attacco Roy Menarini di Film Tv,“ «Now You See Me,I Maghi del Crimine» è quel tipo di film,smargiasso,sapientone,che si crede più intelligente di te un po’come i quattro protagonisti “ e continua,” Nolan,almeno in «The Prestige» era riuscito a costruire un racconto sul dubbio,più che sul trucco,mescolando astutamente steampunk e cinematografo".Quest’ultima affermazione è dimostrativa di come si possa vedere un film in modo superficiale,decorativo senza scendere nel profondo.

 

Francesco Alò
Francesco Alò
The Prestige
è l’esempio più colto sulle tematiche in corso,coglie genialmente schegge e pensiero del progetto che stavamo osservando,è il precursore più empatico a I Maghi del Crimine che ne sviluppa le linee recenti d’evoluzione tematica. Distogliere lo sguardo,far capire che non c’è maestria nell’arte ma soltanto illusione ipnotica e fregatura per lo spettatore,continua lo show Massimo Bertarelli sul Giornale,“Noioso,incomprensibile,lo spettatore perderà interesse per le logiche dei quattro protagonisti,i quali da noi non passerebbero il primo turno di «Italia’s Got Talent»”. La noia non è una categoria di giudizio. Il critico milanese usa espedienti tipici di certi blogger 2.0 che antepongono il proprio ego o stato personale onde mascherare una deriva critica,ma per favore non citiamo a sproposito la vanagloria del talento. Nei quotidiani di Roma l’artificio informativo annuncia lo stesso andante monocromo. “Troppo ridicolo per essere un convincente thriller con colpo di scena prevedibile il cui trucco si vede lontano un miglio “. In questa maniera Francesco Alò dalle pagine de Il Messaggero prova a neutralizzare la complessità del messaggio senza rendersi conto che il trucco ormai logoro lo sta usando lui stesso con il vuoto di un effimero slogan. Roberto Nepoti (La Repubblica) riserva sorrisi finali scrivendo,” Il film non riesce a mantenere le promesse perché lo dirige Louis Leterrier,regista proveniente dal blockbuster “.Antico pregiudizio e anatema da gioco dei tarocchi si celano nell’affermazione. Il critico in vena di giudice universale ha assegnato irrevocabilmente il castigo eterno al regista parigino,niente potrà riabilitarlo. Abbiamo giocato al paradosso cercando nel complesso mondo dell’informazione critica chi sia l’illusionista più tenace delle parole. Esce fuori un cosmo che non ha a cuore il lettore ma preferisce usare verbi e vocaboli per mostrare il prestigio della superbia,qualcosa preso a prestito dai politici nostrani.
25 agosto 2013