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L’evocazione stonata chiama Stanley Kubrick
Gravity e l’attrazione umana verso la terra, l’universo rovesciato per ricominciare
Impazza la sfida con “2001”, Le opinioni semiserie nel paragone più improbabile

A cura di FRANCO FERRI

Sandra Bullock in 'Gravity'
Sandra Bullock in 'Gravity'
Il viaggio nell’universo resiste ad ogni condizionamento e divagazione culturale,sa oltrepassare mode e stili dei nostri tempi,resta la quintessenza narrativa e immaginaria del nostro essere. Il cinema ne ha rappresentato appieno la filigrana emotiva,filosofica quantificando l’iperspazio a rilevanza delle nostre dimensioni interiori. Da Georges Méliès a Ridley Scott il fondale eterno,scuro,illuminato sopra di noi è stato fonte di continui aggiornamenti,lasciando che le proiezioni potessero avvicinarci con familiarità agli angoli remoti della conoscenza. Alfonso Cuaròn,l’ultimo arrivato in ordine di tempo,sa lavorare con quei reparti che preparano l’uomo alla discesa o salita nei luoghi dove idealità e fantastico integrano un patrimonio stimolante. Gravity per questo è un film dove con tutte le risorse drammatiche ed espressive del caso,quantifica nell’assenza gravitazionale tutto ciò che resta dell’attrazione umana con la madre terra,un legame fatale da ricucire a fronte di un excursus di fratture esistenziali. In una sorta di universo rovesciato la terra diventa per gli astronauti una metafisica dal verso poetico,ciò che per le creature normali attaccate al suolo rappresenta invece il cielo. S’instaura una specie di fase auto psicanalitica in cui la solitudine,più ancora il desiderio lontano,tramutano un’avventura nel più cristallino stato di coscienza stimolatore di ritorni e cambiamenti. “ Sul versante esistenziale poetico dell'«ermo colle» il film si ritrae,non passa,non arriva. Sandra Bullock resta sola e prigioniera del suo volto spigoloso e duro con la sua ostinazione,i suoi fantasmi,la sua voglia di sopravvivere “. Queste ultime parole non sono contraddizioni ondivaghe ai pensieri precedenti ma appartengono a Maurizio Porro sul Corriere della Sera che sicuramente ha avuto davanti allo schermo distratta sensibilità,non avvertendo certe sottigliezze ambientali dal lontano trasporto. Lo si comprende perché appena dopo,disinteressandosi dell’osmosi della Bullock con lo spazio siderale ne esce con divagazioni,tecnica retorica per agganciarsi a confonti retrospettivi.“ Quando uscì Il capolavoro di Kubrick (2001: Odissea nello Spazio -1968) con cui è ingiusto fare paragoni,Ia scena dove Kelr Dulle stava sospeso diventò subito cult,ora tutto Il film è,grazie al dio computer,senza gravity normalizzante.” Il paragone,che comunque fa,è però assai insidioso non tanto per la natura superficiale dello stesso ma per l’evocazione suggestiva di Stanley Kubrick,si porrebbe una discussione su tematiche diametralmente opposte e disomogenee.

Valerio Caprara
Valerio Caprara
Vedere un astronauta sospeso nello spazio rimanda facilmente l’immaginario a 2001,a parte l’istantanea della memoria i due film concepiscono contenuti molto diversi fra loro. L’avventura di Gravity è ancorata al coraggio antropomorfo di sapersi riconoscere dentro se stessi con tutti gli effetti di un percorso lirico per la salvezza. Odissea nello Spazio è un viaggio metafisico nel quale l’uomo verso la conoscenza scoprirà simboli che dovrà lui medesimo raccogliere per riordinare le sequenze di un apparente caos. I riferimenti sono esoterici portandoci culturalmente e stilisticamente lontano dal film di Alfonso Cuaròn. Nella citazione di maniera ci sono cascati svariati opinionisti in fuga non ponderata per scrivere qualcosa a ruota libera. Curzio Maltese sulle pagine de La Repubblica fa così.” Cuaròn con una certa dose di masochismo va a cercarsi costantemente paragoni imbarazzanti con i classici del genere. Appena si vede un astronauta perso nello spazio,ll pensiero non può non correre all'Odissea di Kubrick “. Valerio Caprara sulla nota pubblicata su Il Mattino,si tuffa nel gorgo senza protezione.“ La tentazione di fomentare gare col capolavoro di Kubrick è forte,ma «2001» ha segnato con indelebile inchiostro cinematografico lo stato nascente dell'era informatica e le prime interazioni tra uomo e macchina;mentre «Gravity»,anche per colpa di un finale banalissino,può aspirare al massimo a concorrere agli Oscar di scenografia,fotografia,effetti speciali .“  Per ironia involontaria il film con la Bullock e Clooney,secondo la tesi di Caprara,potrebbe emulare tra poco il capolavoro di Kubrick,avendo vinto quest’ultimo nel 1969 un solo Oscar proprio per i migliori effetti speciali. Poi c’è chi è convinto di una prova di talento che forse lo stesso Stanley avrebbe applaudito. Fabio Ferzetti ne Il Messaggero va in dribbling d’enfasi sul lettore. ”Nemmeno il citatissimo Kubrick aveva mai usato con tanta libertà i corpi degli attori,i loro movimenti lenti e frenetici insieme sposando il virtuosismo della regia ”. Dario Zonta (L’Unità) ci riporta tutti in un ambito di serietà cercando una ricostruzione filologica e dice.”Si può anche scorgere quel poco o tanto di traccia kubrickiana laddove il film si pone come viaggio dell'essere umano che qui finalmente ha come protagonista una donna “. Non dimentichiamo che Gravity è una storia rappresentata e vissuta in chiave vitalistica pur interagendo con circostanziate domande,e come ricorda lo stesso Zonta.” Ci sono film d'azione e di genere che sono attraversati da un afflato filosofico perfettamente integrato nella trama narrativa,talvolta invisibile,il film appartiene di diritto a questa categoria ”. Siamo convinti che il film possegga una dignitosa,indipendente ragione analitica senza scomodare inutili,fuorvianti raffronti. Le citazioni sono certamente un modo efficace quando opportune,ma non possono depistare o annullare quell’importante senso di riconoscibilità di un film che esce impoverito da somiglianze minimaliste.
19 ottobre 2013