Arianna Finos
All’indomani della conquista dell’Oscar nella magica notte di Hollywood,
La Grande Bellezza è divenuto nella miglior tradizione italica facile preda e catalizzatore di consenso. Un carro dei vincitori annunciato che i politici non potevano lasciarsi sfuggire,una vittoria sponsorizzata trasversalmente per innalzare la celebre statuetta a sinonimo di un mondo ai piedi del belpaese. Quasi mai hanno parlato di cinema,in fondo la suggestione da stadio fa più presa sull’opinione,ma li avremmo voluti sentire nelle stagioni trascorse a dissertare su Danimarca,Iran e rispettive società quando il miglior film straniero se lo aggiudicarono le cinematografie di quei paesi. Sicuramente hanno ragione un po’loro nel prendersi una parte di merito ben sapendo che il film di Sorrentino rivela ascendenze culturali e produttive negli stessi ambienti di larga intesa oggi maggioritari nelle stanze del potere. Paradossalmente
La Grande Bellezza ha trovato estimatori fuori dell’Italia non per un certo tipo di decadentismo dissacrante che avrebbero voluto i suoi autori ma per il gusto leggero,nostalgico e classico dello stereotipo italiano mai dissolto. Alla fine l’effetto in stile
National Geographic è stato il risalto di un non valore che diviene pregio vincente. Il vero colpo mediatico però si materializza casualmente in quell’assist prodigioso per tempestività e opportunità che coincide con la nascita del governo Renzi. Quale occasione da saltarci su per convincere chiunque della bontà di un nuovo corso circondato da eccellenze made in Italy ? Prenderà questa lunghezza d’onda
La Repubblica,il
giornale romano sotto molti aspetti risalta le note di un prevedibile pentagramma e non fa mistero di trasformare la vittoria di un film italiano in quella di tutto il background del cinema nazionale. Un articolo molto sintomatico firmato Arianna Finos inizia così,
” Ogni dieci anni il cinema italiano è dato per moribondo,ogni dieci anni,però,il cinema italiano riesce a produrre registi e sceneggiatori che poi si impongono nel mondo”. Il teorema al plurale è sorprendente per chi segue giornalmente commenti e mercati internazionali in un anno in cui il cinema italiano non ha raccolto nulla nei premi e festival,a parte qualche verdetto casareccio,tantomeno nei box office ma un Sorrentino non è rivoluzione galileiana. Forse eravamo su Marte ma la Finos ci incuriosisce e continua forzando,
“ Quelli dell’ultima generazione di affermati hanno,tutti,tra i quaranta e i cinquant’anni,stili e intenti diversi, ma hanno raggiunto il pubblico e il consenso internazionale”. Avevamo intuito che l’Oscar era come il mondiale di calcio ma non sapevamo che in squadra c’erano tanti campioni addirittura diffusori di stili preziosi che il mondo aspetta con ansia. Chi sono i Messi e Cristiano Ronaldo della settima arte italiana ?
Gianfranco Rosi
Arianna Finos non ha dubbi e cita intervistandolo Gabriele Muccino,uno che invero gli Stati Uniti l’ha gettati dalla finestra quando ha fatto uno dei peggiori film americani per resa e qualità dell’ultimo decennio,
Quello che so sull'Amore e
attualmente ne prepara un altro con location americana a maggioranza produttiva italiana. L’articolo prosegue elencando i registi da esportazione e cita Gabriele Salvatores il cui ultimo film che fece discreta apparizione internazionale fu
Io Non Ho Paura del 2003 mentre il recente,
Educazione Siberiana a parte un paio di lanci in DVD,nei cinema esteri è uscito solo per il pubblico degli Emirati Arabi,Kuwait e Ungheria. Matteo Garrone invece era stato accolto bene in America con
Gomorra ma
dopo
Reality sono arrivate le brutte recensioni e il flop al botteghino. Continua ad essere sponsorizzatissimo dall’ambiente romano Paolo Virzì,tuttavia
La Prima Cosa Bella passò inosservato negli Usa come in altri mercati. Stessa storia per
Tutti i Santi Giorni che comparve pochi giorni soltanto nelle sale di Francia,Ucraina e Corea del Sud. Forse il più conosciuto è Giuseppe Tornatore ma i suoi film sono ormai considerati negli Usa di concezione datata. La visibilità sufficiente che ha avuto
La Migliore Offerta nell’Europa dell’est è dovuta al richiamo di Geoffrey Rush. La formazione dei talenti fatti in casa prosegue con il nome di Daniele Luchetti,magari nel pezzo si pensava ai panchinari,semmai ci sembra del tutto fuorviante inserire Gianfranco Rosi,il documentarista di
Sacro GRA,al quale se il Festival di Venezia non avesse strizzato amichevolmente l’occhio,nessuno più parlerebbe del suo reportage su Prima Porta e zone limitrofe. Nell’intervista ad Arianna Finos dice che il documentario “
E’ stato venduto in 26 paesi”,però prendendo ad uso i tempi della realtà piuttosto che della fiction,come lui stesso potrebbe insegnarci,a parte qualche legittima apparizione in rassegne internazionali,il doc film è previsto in uscita grande schermo solamente in Francia e nei prossimi mesi in Belgio e Olanda. In perfetta simbiosi con la scelta dell’articolista,Gianfranco Rosi opta in definitiva per il fantasy delle gesta tricolori,quando afferma,”
Penso che sia un momento molto positivo per il nostro cinema: ha un linguaggio che si afferma all’estero,è vario,ha tante scuole e stili diversi,mentre il cinema francese è sempre lo stesso,riconoscibile.” Chissà,risiede in questa caratteristica rigidamente monocromatica il segreto del successo dei film transalpini,che sono i più affermati nel mondo dopo quelli in lingua inglese ?