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Bling Ring, il fascino perverso di Bonnie & Clyde
Le polemiche sul film di Sofia Coppola, la Kezich “Una volta faceva di meglio”
Risponde la regista “Elementi visivi, suoni e musica, siamo in un'altra epoca”

A cura di FRANCO FERRI

Sofia Coppola
Sofia Coppola
Il nuovo film di Sofia Coppola rappresenta il ritorno maiuscolo a quel cinema introspettivo e capace di lasciare flash impressivi sullo stile di Lost in Traslation. Una digressione nel reale che ci riporta all’acutezza di un affresco esistenziale,corposo ancor più piacevole dopo le incertezze minimalistiche sopportate in un film sbagliato,Somewhere. La rappresentazione avvolgente dal taglio introverso che forma una narrativa assai originale pensavamo fosse destinata alla tipica indifferenza che il pubblico italiano riserva a certi film. Invece ha la medesima affluenza tenuta in Francia dove gli spettatori affollano spesso il cinema d’autore come da noi accadeva (accade ?) solo per i cinepanettoni. Fin dalla prima settimana abbiamo assistito allo spettacolo della fascinazione per Bling Ring,storia che porta dentro il significato del titolo,il magico flirt che avvinghia al bello,al prezioso. Molti giovani li sentivamo durante le proiezioni esclamare con voce alta richiamando al lusso e alla fastosità di quegli oggetti sullo schermo che stavano per essere sottratti ai proprietari. Non crediamo affatto che avessero feeling con il desiderio di furto ma senz’altro identità con la febbre glamour presente nell’ex Hermione Granger (Emma Watson) e nei suoi amici complici. L’ambiguità dà sicuramente timore,almeno nelle parole allarmate di Lino Patruno,La Gazzetta del Mezzogiorno,che tiene a precisare.” Il rischio era che i ragazzi vedendolo,uscissero avvelenati dall'effetto emulazione perché quei cinque della banda di Hollywood potevano passare per eroi seppur negativi quindi ancora più pericolosi “. Secondo l’opinionista non è successo questo perché,” Sofia con toni aridi e essenziali presenta i giovani rapinatori come stronzetti e odiosi,trasmettendo un senso di fastidio nel vederli”. Sofia Coppola non ha adottato un filo moraleggiante che sovrintendesse l’operato e l’arbitrio dei protagonisti,quindi è del tutto fuorviante e puramente soggettivo il giudizio caratteriale espresso sui giovani raiders delle ville hollywoodiane. Costoro semmai vengono visti in modo asettico e il loro operato coinvolge la sceneggiatura per imprimere equilibrante double face sugli eventi,dove sono vittime e carnefici al tempo stesso. Lo suggerisce anche Cristina Piccino dalle pagine del Manifesto,«Bling Ring» non è un film moralista,non da giudizi né cerca di trovare spiegazione ”.

Alessandra Levantesi Kezich
Alessandra Levantesi Kezich
Ci risiamo,nel tono precedente batte Alessandra Levantesi Kezich su La Stampa,Insulsi protagonisti suscitano noia e antipatia”. Sarà la distanza generazionale ma alcuni critici pare si siano messi d’accordo per fare una regia tutta loro. Per quanto la Kezich rammenti che,la propria intolleranza verso i personaggi viene fuori anche a causa di una presunta “debolezza di sceneggiatura che non crea un minimo di spessore drammaturgico”,soprattutto richiamandosi al magnifico esordio di Sofia in Il Giardino delle Vergini Suicide del ’99. Risponde la stessa Coppola che opportunamente offre un’avveduta chiave.” Se penso a quando ho girato «Le Vergini Suicide»,devo dire che oggi viviamo un'altra epoca,quelle ragazze erano innocenti,adesso siamo nell’era dei social network,tutt’altro modo di vedere e riflettere.” Prosegue la regista newyorkese,“«Bling Ring» è una specie di racconto di crescita ma in forma di avvertimento,volevo fare una storia fondata più sull’elemento visivo che sui dialoghi e la sintonia di loro con la colonna sonora è importante “. L’affermazione dovrebbe mettere la parola fine a roboanti conclusioni su drammaturgia o moralismo,si possono ottenere finalità accettabili solo dall’uso moderno,amalgamato di un format che restituisca dallo stile la verità di un quadro cercato. Però in Italia è dura la cosa,resiste scarsa propensione a vedere il cinema in evoluzione. Federico Pontiggia ne Il Fatto Quotidiano dice che,”Il film non è cinema verità,la regia non restituisce il vuoto il nonsense emulativo,la miseria dietro le paillettes dei teenagers”,Il critico gli preferisce Apache una storia dove risorgono,” tratti neorealisti,dove ci sono i conflitti che si vedono e sono plurimi,isolani contro continentali,proletari contro borghesi.” Non comprendiamo il paragone che sembra strumentale pubblicità comparativa ma ringraziamo il critico per aver in ogni caso estratto l’identikit del bel film di una volta. Questo attualmente ha solo valore museale,la sintonia che certe storie avevano nel rapporto tra uomini e società durante un determinato contesto. Siamo in altri tempi e il realismo per comunicare va composto con ulteriori strati stilistici come Sofia Coppola ha voluto puntualmente mostrare. Fuori da didascalismi nostalgici s’inserisce Dario Zonta de L’Unità sostenendo che,”è un film piuttosto straordinario come anche l'approccio da studiosa dei fenomeni sociali e di costume che ha la figlia di Francis Ford Coppola,fra molti anni verranno studiati come fossero «documentari», tale è l'approfondimento dell’indagine e la capacità di osservazione “. La società del resto è molto presente nelle sottigliezze della pellicola e Giorgio Carbone (Libero) dice la sua. La vicenda forniva lo spunto per considerazioni anche pesanti sul degrado culturale della gioventù negli anni di Obama. Una gioventù che non contesta il mondo degli adulti ma anzi si adagia mollemente sui miti creati dagli stessi.”