Gabriele Salvatores
Siamo certi che se un film come
Educazione Siberiana fosse stato di produzione estera non avrebbe suscitato tanto’interesse nei media e nei settori della critica come abbiamo visto giorno dopo giorno. Gabriele Salvatores è un regista la cui storia fu baciata da un Oscar imprevisto,che in modo determinante ha miracolato di rispettabilità il susseguirsi di una carriera imperfetta. Anche oggi,dopo il modesto
Happy Family,con questo nuovo lavoro che dovrebbe servire al restyling d’immagine,c’è nel clima opinionistico troppa fiducia incondizionata. Il passaggio da Abatantuono a John Malkovich è un viaggio da affrontare con strumenti affinati,una scommessa da valutare attentamente in profondità ma la critica sembra ben lontana da saggia neutralità. Sfogliando le pagine incontriamo i soliti slogan coloriti che hanno il sapore di quelle didascalie a supporto dei trailer cariche di tutta l’ingenua enfasi di un prossimamente. Su
Trovaroma di
Repubblica,Maria Pia Fusco sancisce,
“ Salvatores si conferma tra l pochi registi Italiani curiosi di sperimentare,capace di raccontare storie complesse e di affermarsi tra gli autori di cinema internazionale “. Morando Morandini scrive su
Left,
“ Il miglior film di Salvatores,il più emozionante e creativo a livello narrativo ”. Alessandra Levantesi Kezich
La Stampa fa l’acuto,
“ Il film è un afflatto vitalistico e lirico “. Ora dopo questa sbornia di vocaboli tutti saranno andati al cinema così avremmo maggior certezza di analizzare insieme i punti discutibili che sono molto interessanti.
Alberto Crespi
Alberto Crespi,film critico dell’
Unità tende a rompere lo schema allineato e punta il dito su aspetti controversi della pellicola e del libro
.” In ogni inquadratura di «Educazione Siberiana» c’è un'irrealtà storica da sfiorare la fantascienza ( la società descritta durante la fine dell’Unione Sovietica ). Quando il romanzo di Nicolai Lilin è uscito in Italia,scritto direttamente in italiano,l'autore all'epoca viveva a Cuneo faceva il tatuatore ma in molti hanno sollevato dubbi sull’autenticità autobiografica. C’è cascato anche Roberto Saviano dedicando a Lilin pagine alate “. Il rigore quasi religioso di Kuzja (John Malkovich) nell’insegnamento
delle regole
ai piccoli nipoti sono ammantate di filosofia reazionaria,la stessa che in altri tempi e latitudini condusse alla sopraffazione da parte delle elite e all’avvento dell’antiebraismo.
Giorgio Carbone
Salvatores con tanto qualunquismo dice,
“ In tempi di crisi è meglio un cattivo maestro invece che nessun maestro “. L’ambiguità sordida del messaggio cinematografico invero trova proseliti e applausi
, “ Gabriele Salvatores è uno dei migliori registi del mondo se dirige testi altrui,una bella mano gliela dà lo script esemplare di Rulli e Petraglia che racconta il crollo del comunismo “. Così parlò Giorgio Carbone sulle pagine di
Libero. Raccontato in maniera sommaria e con costruzione antropologia superficiale il film trasmette proprio questi inequivocabili principi ma le scarse sfaccettature dei personaggi non fanno rivelare ulteriori piani di lettura universale. Quasi nessuno ha rilevato l’aspetto,anzi se prendiamo dal
Fatto Quotidiano,periodico di presunta etica progressista,le righe di Elisabetta Ambrosi suonano così.
” L'antieroe criminale è portatore di un'etica,propria e della sua comunità,che riempie di nostalgia la nostra società orfana di maestri,il tema del criminale che si rovescia nel suo contrario,un paladino della giustizia .“ No,Kuzja non è difensore degli oppressi ma portatore di rigida disciplina autoritaria,applica una versione soggettiva della giustizia e la sua visione del mondo è tutt’altro che anarchica e libera come vorrebbe l’opinionista del
Fatto.
Maria Pia Fusco
Le interpretazioni ondivaghe e di comodo illustrate sono frutto dell’evidente squilibrio del film come pure dell’opportunità di assecondare un personaggio,un notabile di nome Salvatores. Oltre Kuzja le regole reazionarie,antiche,di sapore retorico,le conoscono anche i critici quando vogliono mettere il lettore davanti ad un modello,diciamo classico incontrovertibile,che comproverebbe il valore dell’attuale comparazione. Dice Michele Anselmi su
Il Secolo XIX ,” A Salvatores piace citare,difficile non pensare a «La Promessa dell'Assassino» di David Cronenberg e «C'era una Volta in America» di Sergio Leone “.
La citazione può essere dotta,raffinata quando dal capitolo di un film si estrae,non tanto quello specifico affresco,ma il connotato archetipo da ricondursi in senso evoluto al significato di una storia presente. Teniamo a memoria i fratelli Coen quali splendidi rappresentanti della caratteristica . Nel caso di Educazione Siberiana non siamo nel test citazionistico,semmai notiamo una flebile e furbesca trovata della trama che è senz’altro pescata dall’opera di Leone ma non riesprime né struttura,né senso mitico. Stesso discorso per la chiamata in causa di Cronenberg in cui c’è il riferimento ai tatuaggi di Viggo Mortensen,ma è goccia di cartolina in un oceano da riempire.