CAFARNAO di Nadine Labaki
Sceneggiatura di Nadine Labaki,Jihad Hojeily,Michelle Keserwany
Con Zain Al Rafee,Yordanos Shiferaw,Boluwatife Treasure Bankole,Haita Cedra Izzam L’emblematico piano sequenza all’inizio sulle strade di Beirut è indicativo di quanto l’influenza circostante induca i bambini a modelli di riferimento duri e spietati. Giocano a gruppi come lo fanno tanti coetanei in ogni angolo del globo,eppure non dovrà stupire che eroi e rispettive icone d’azione l’identifichino nei guerrieri,gli attori preminenti di una regione dove il combattimento perenne può significare gloria. Il suo contrario o il richiamo pacifico alla quiete potrebbe trasudare il nulla di una rassegnata condanna dove nemmeno la sopravvivenza sarebbe garantita. Pochi anni di vita e vedendoli brandire fattispecie di armi costruite con legno dalle loro piccole mani sembra duellino per amicizia,quasi che quella insopprimibile danza sprigioni da esse una forza di autentici legami per sempre. Un contrasto e una spaventosa deduzione per chi è lontano da tutto ciò,il film raggiunge con l’immediatezza di una lancia le zone grigie di una cultura cruda e mai scontata cui non sono pertinenti analisi sociologiche tortuose per capire quanto siano ferite le coscienze dei piccoli. Si abituano presto alla brutale convivenza e connivenza trasmessa dagli adulti che per quotidiana indole riverbera fin dalle prime abitudini un’idea traviante da apprendere quale unica ragione di radicato esistere. Il periodo dell’infanzia non appare il rituale consono alla formazione intesa quale luogo algido dell’apprendimento ma rispecchia sulla loro interiorità lacerata,ben lontana dall’innocenza,molto vicina alle basi dell’ingiustizia,il più perfido insegnamento che umano possa ricevere. Zain,vive e conosce sfortunatamente questo habitat,pur avendo elaborato da tale diseducazione un carattere di scorza dura possiede la miracolosa personalità che altri fanciulli non hanno; Sa dire di no ai grandi. Lo ritroviamo insieme agli altri protagonisti fondamentali della vicenda in tribunale dove è imputato per un fatto accaduto molto grave acceso dal suo modo di essere dopo una catena di eventi iniziati in famiglia. Vuol difendersi sebbene miri alla rivalsa,un j’accuse e contrattacco etico per nulla paradossale che porti davanti al giudice i propri familiari colpevoli di averlo messo al mondo. Il diritto alla vita viene messo in discussione da colui che rifiutando condizionamenti culturali sta provando sulla sua giovane esistenza l’impossibilità oggettiva di avere e trovare speranza. Una giusta causa che ripropone interrogativi sulla condizione umana nella più pura derivazione letteraria da Émile Zola ad André Malraux. La regista Nadine Labaki si riserva in Cafarnao un cameo,è l’avvocato del bambino ma in quanto rappresentante delle istanze di Zain andrà ad incastonare perfettamente per primogenitura quel ruolo morale di tutore nel film di una ragione esistenziale infranta. Attraverso l’affermare di una logica apparentemente bizzarra e fuori delle normative ha il privilegio che la macchina del racconto dispone per sostenere con diritto e specifica ammissibilità di merito una denuncia originale da far discutere schieramenti opposti in maniera costruttiva. La costruzione del film s’impone con un flash back degli episodi ricostruendo le miserabili circostanze,il passato per riprodurre la giusta equazione naturalista di un presente che fa scalpore,avvince e indigna mentre segue il bambino all’interno di un incasinamento quotidiano. Sarebbe troppo gentile e distante intellettualmente assegnare al percorso,ai più svariati personaggi,la composita figurazione di labirinto del destino,perché Zain non ci sta e vorrebbe cambiare al più presto la strada dell’accidentato,caotico viaggio. Non accetta l’origine e le posizioni volute dalla tradizione,rifiuta quel sibillino confine imposto dai genitori ai figli che è simile alla cattività. Prenderà in custodia un bimbo ancor più piccolo di lui cercando una qualche luce di salvezza passando per tutte i malefici strati imposti da una società corrotta. Non c’è compassione,ha la lucida consapevolezza che la tragedia sia perpetua e inevitabile ma come un naufrago tra le onde della tempesta continua a esorcizzarle. Una scelta cosciente di andar controcorrente che dal punto di vista del film contribuisce a dare il via alle regole di una drammaturgia esemplare quanto escatologica nella rappresentazione collettiva di una terra in sofferenza. Nadine Labaki si misura compiutamente in una storia del tutto drammatica e di impegno civile dopo aver affrontato una commedia sociale (Caramel) e una pellicola a doppio strato in cui dramma e commedia si fondevano agevolmente (E Ora Dove Andiamo?)
|