BLACKKKLANSMAN di Spike Lee
Sceneggiatura di Spike Lee,Kevin Willmott,David Rabinowitz,Charlie Wachtel
Con John David Washington,Adam Driver,Laura Harrier,Ryan Eggold Nelle stagioni trascorse Spike Lee seppur costantemente vicino ai temi prediletti ha rischiato l’offuscamento con storie prodotte per la televisione che rivelavano in senso artistico un certo accademismo e un distinguibile riadattamento stereotipato di storie a sfondo civile. Se il richiamo della foresta,inteso a ritorno entusiasta tra i lidi del cinema,abbia fornito slancio per ridare stimolo e svolta a colui che intendiamo fregiare del titolo di maggior autore politico comparso sulla scena nell’ultima parte del novecento,possiamo affermare con certezza una risposta molto positiva. Il regista newyorchese a diretto contatto con le tensioni da grande schermo ritrova una seconda giovinezza e il pensiero felice di aver rifatto una cosa giusta. Nella pellicola odierna con una sceneggiatura variegata ricca di scelte meditate e soluzioni di aderente,pregnante cammino figurativo descrive momenti importanti delle lotte contro il razzismo e la discriminazione verso gli afro – americani. Passato e presente tornano a intrecciarsi d’incanto quasi che l’America di adesso,suggestionata e nel medesimo istante impaurita,da Donald Trump,avesse riacceso dispute sospese e nodi non districati. Per Spike Lee questa linfa avvelenata detta le regole per una possibile riabilitazione contemporanea che dovrà trarre dalla sostanza del film la scintilla dell’indignazione e della lotta. Storia e cinema s’inseriscono di nuovo con autentica sincronia intellettuale,lasciando che sia la forza dell’immaginario con precisi riferimenti ad avvenimenti accaduti e raccontati dalle filmografie epocali a riportare in auge il gioco potente della memoria,dirigendola al sostegno di rinnovata convinzione etica. Questo filo ipnotico travalica Via col Vento e mette in discussione,Nascita di una Nazione di D.W. Griffith. Dal loro implicito,forse anche diretto,messaggio di vicinato con l’ambiente separatista quei blockbuster di una volta sostenevano l’odio continuando a far assimilare alla gente costumi conformi e posizioni dominanti insostenibili. Il background stava generando un ambiguo e profondo malessere che nel sud degli Stati Uniti s’ingigantiva grazie all’organizzazione segreta cosiddetta Ku Klux Klan. L’anima oscura del paese che riflette tipicità tra mondi integralisti religiosi e fondamentalismi fascisti,stabilì intolleranza razziale verso il popolo nero. Negli anni sessanta il clan fece strenua reazione al Movimento per i Diritti Civili,che rendeva praticabile con feroci battaglie l’inserimento della gente di colore nel cuore di una società da rinnovare. Ostacolarono ferocemente la prospettiva del connubio tra bianchi e neri che,secondo loro,stratificava un corpo unico al servizio di un tessuto economico senza valori. Spike Lee invece sa condurre i valori e le potenziali figurazioni offerte dal cinema oltre il citazionismo,girando sguardo sulla grande stagione di cinematografia politica degli anni settanta che rappresentò magistrale lezione di stile. Sa rimodellarne le inquietudini e le idealità attraverso un dinamismo narrativo che faccia emergere l’elettrico positivismo dei protagonisti,comunicando allo spettatore di oggi la fiera partita per un mondo migliore. Potrebbe essere un thriller,come pure un plot pieno di scintille commedianti,ma il personaggio di Ron Stallworth che s’insidia sotto copertura fra i gangli del club razzista è un omaggio perfetto alle storie temerarie,sulla falsariga di un Serpico della via progressista e di quelli della mitologia black,ricordando il Richard Roundtree di Shaft. Il capolavoro Spike Lee lo compie facendo assumere al soggetto chiave due identità,due detective diversi per origini,nero e ebreo,che s’identificano in un unico nome nella missione impossibile per eccellenza alla maniera di un condivisibile spirito di comunità. Riesce a giostrare nella vicenda il double face allegorico della realtà integrata,la natura salvifica e concentrica di una nazione che sorregge l’insieme degli individui quando il buio vorrebbe imporsi. Il duello e la duplice valutazione dei sentimenti morali combattono,dividono,riabilitano portando in alto l’agilità di una pellicola matura tra le migliori del regista. Va in scena la supremazia delle virtù dell’America verace e amante dell’uomo libero che Spike Lee,seppur con cautela e un certo pessimismo vuol trascinare in porto. Riesce a incarnarla egregiamente supportato da senso elegiaco avendo in serbo l’utopia della bellezza,rimedio probabilmente nemmeno troppo poetico per sconfiggere l’arido limite degli uomini.
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