SILENCE di Martin Scorsese
Sceneggiatura di Jay Cocks, Martin Scorsese
Con Andrew Garfield,Adam Driver,Liam Neeson,Issei Ogata La potenza visionaria di un po’ tutta la cinematografia di Scorsese negli anni 2000 è stata concentrata ad esprimere i meccanismi della psiche umana visti nell’elaborazione soggettiva,nell’attuazione di persuasive contestualità sorrette da quell’energia sommersa e abbagliante che può ritradursi in fasi oggettivamente dinamiche se non esploratrici di nuove realtà. Mente e potere sono state viste come centro formativo di personalità,il cui spessore ha spaziato oltre regole consolidate o del tutto repressive,indicando quanto certi ritratti siano stati risultante di genialità,follia,lungimiranza o tutte le cose insieme. Veniva massimizzata nei personaggi una forma di ascesi che configurasse in loro un bisogno creativo quasi fosse un valore immanente utile a stabilire un particolare contatto con l’eternità,anche se questa fosse finita il giorno dopo. Il paradosso costruttivo riguarda il legame che portava il DiCaprio di The Wolf of Wall Street a venerare,innalzare simulacri in onore di quel Dio chiamato Denaro,e alla stessa maniera In The Aviator,Departed,Shutter Island e Hugo Cabret saranno piene di fondamento logiche inerenti spazi metareali o del tutto fantastici per avvicinarsi alle necessità assolutamente trascendenti dell’io. Adesso Scorsese sembra preferire un angolo inverso mettendo il potere in un centro portante,già consolidato da monolitica influenza che diventa fonte suggestiva,plagiando le menti degli uomini o tentando di manipolare il libero arbitrio di altri. Il cambio di prospettiva non lascia sempre indenne la partecipazione artistica sapendo in quale modo alla fine degli anni ‘90 con Kundun,il rapporto tra individuo (Dalai Lama),sovranità e storia risolse la congettura in modo freddo senza sfiorare espressivamente il vero conflitto mentale. Ugualmente anche oggi tornano in auge le culture orientali e relative ascendenze religiose continuando intatto un amore odio che il regista newyorkese coltiva ossessivamente. In fondo le iconografie e le parole sacre sono state usate nei secoli a manifesto distorto per i bisogni del Potere nel coltivare utili strumentalizzazioni di strategia e asservimento. Il Cristianesimo di par misura ha avuto un ruolo primario nel colonialismo delle potenze economiche occidentali,spianando una strada impositiva sulle popolazioni indigene spesso strappate alle loro originarie collocazioni culturali. Però Scorsese gettandosi nuovamente tra la storiografia evidenzia con partecipato ruolo la propria fede d’appartenenza,restando molto più interessato alle vittime religiose,martiri cristiani che sono caduti sotto la pressione del Buddismo,il collante del’egemonia imperiale giapponese. Due missionari portoghesi nel Giappone del 1600 vanno alla ricerca di Padre Ferreira,un tempo capo carismatico della missione. Il cammino è costellato da enormi pericoli,le perfide torture o esecuzioni orientali fanno terrore allo spettatore timorato ma ritrovare il religioso è importante,qualcuno afferma che è morto mentre altri lo credono prigioniero. Padre Ferreira invece vive sotto il giogo imposto dall’inquisitore. Diventato meno asceta verso il Cristo,più conciliatore verso la nuova via del Buddha,tra compromesso e paura racconterà l’esperienza all’attento discepolo,Rodrigues. Uscirà un film talmente manicheo,strutturato nelle tematiche e diviso in modo quasi rozzo tra buoni e cattivi che non sembra opera del talentuoso regista. Guardare le religioni non fa restare completamente libero Scorsese,Silence di certo è diretto in modo egregio con preciso taglio estetico delle inquadrature,adottando ogni scrupolo di direzione certosina degli attori,ma lascia l’impressione complessiva che emergeva da quei vecchi film di propaganda clericale molto malati di ufficialità. Involontariamente fa pensare a una sceneggiatura che non vuol nascondere l’idea di schieramento quasi fosse un obbligo in tempi d’integralismo rampante.
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