ROMA di Alfonso Cuarón
Sceneggiatura di Alfonso Cuarón
Con Yalitza Aparicio,Marina de Tavira,Diego Cortina Autrey In questo periodo e nel presente spazio informativo non avremmo parlato per certo di questo film,un prodotto che nasce in principal modo per essere visto lontano dal grande schermo. La produzione di necessità saprà fare virtù avendo diversamente un vitale bisogno del cinema in quanto mezzo indispensabile per accedere all’olimpo dei film. Non esiste pellicola a tutt’oggi che abbia costruito un carisma e un’immagine gloriosa al di fuori delle sale cinematografiche. Netflix questo lo sa perché attraverso il nome del regista Cuarón ha investito un budget faraonico con cui poteva realizzare un blockbuster vincente al box office,ma la strategia mirava ad altro. L’azienda di streaming non ha dato il via a una scalata di consenso soltanto per avere,Roma,omaggiato da eventi e stampa. Per farsi un nome di grande produttore o di presupposto mecenatismo che andasse oltre canoni puramente commerciali di piattaforma multimedia,Netflix ha puntato sul passaporto artistico dei lavori indipendenti quale sdoganamento verso i piani più alti della nobiltà cinematografica e nell’aperto tentativo di cambiare assetti di potere nel mondo produttivo di Hollywood. Il mese degli Oscar avrebbe dovuto rappresentare una vittoria su tutti i fronti,in definitiva l’obiettivo finale ne risulterà molto stemperato. Chiariamo come il cinema indipendente sia stato determinante per spostare equilibri anche nel box office nell’ultimo quarto di secolo,dove palinsesti di storie alternative per niente gratificanti sono riuscite a coinvolgere masse di spettatori favorendo il metabolismo di rinnovati stilemi. Questo lo dobbiamo alle scelte coraggiose dei fratelli Weinstein che abituarono il mercato a cambiar pelle riuscendo a conciliarlo con sprazzi d’immaginario che sembravano di nicchia. La visione di Roma invece non pare considerare nella sostanza quelle motivazioni di origine. Fin dalle prime sequenze fa trapelare un’idea di pellicola che si adagia sul sostegno di supposta agibilità alternativa senza detenere in questa l’aderenza più onesta. Il film nell’insieme non si presenterà in veste di format adatto o quanto mai alternativo alle sale cinematografiche. Non tanto per una narrazione che prescrive ingredienti e mescole da lievitazione artificiale,ma fin dalle prime battute pare reclamare la riesumazione di uno sperimentalismo inventato dal piccolo schermo negli anni sessanta/settanta. Una spiccata evidenza da tv movie risulterà quindi antidiluviana nel concetto (sempre da rilevare) di evoluzione dei linguaggi. Nell’equivoco ricorrente tra cinema e televisione il contenuto della storia tende piuttosto al senso retorico delle sequenze,facendo percepire nel quadro complessivo una distanza abissale dall’essenza impressionista. Non aiuta molto in questo la costruzione dei capitoli che fanno emergere prevalentemente ossessive geometrie dell’inquadratura e più in generale un’estetica fine a se stessa. Vorrebbe l’etichetta esclusiva che un tempo si chiamava off ma invece serve con dosaggio multiplo di autoreferenzialità e compiacimento un gran numero di adesivi già visti che appartengono alla scaffalatura della traduzione visuale. Alfonso Cuarón vorrebbe chiedere alla memoria,quale bagaglio di ricordi e custodia recondita degli amarcord,di riagguantarli per incanto ma preferisce la confezione con modi compassati sostituendoli a un sincero richiamo che scaturisca dall’interiorità. Attraverso l’emulsione della fotografia in finto bianco/nero sceglie di ricongiungere la dimensione trascorsa del reale quotidiano facendo riaffiorare episodi privati e di storico interesse. Come se si potesse cogliere per seducente forza e allo stesso tempo misteriosa lo spirito celato facendolo rivivere in forma documentaria. Alla stregua di una mostra fotografica di realismo in tinte grigie prepara e lucida molti scatti di panoramiche dove ogni luce,ombra,oggetto,persona,fondale,sono piazzati al posto troppo giusto e perfettino. Nell’economia artistica avvertiamo la leziosità dei dettagli che si riverberano sull’intera vicenda con largo effetto ipertrofico nonché ricevendo molta freddezza da tutte le situazioni. A conti fatti quest’operazione di bigiotteria estetizzante perde notevolmente sul terreno della spontaneità. Tutto sembra senza sorpresa e privo di chimica poetica rendendo plausibile un marketing del particolare d’autore costruito a tavolino e colmo solo d’insincerità. Quest’idea di cinema indipendente che è soltanto abbagliante,lasciando al contrario innocua permeanza sulle coscienze,va rimessa nel cassetto e non poteva diventare nella Notte degli Oscar 2019 il miglior film dell’anno. Più d'uno l’avevano già capito d’istinto.
|