Una scena da 'Reality'
L’aria di Cannes ha il potere di rendere elettriche e altisonanti le opinioni della stampa italiana quando al festival c’è in concorso un film che viene dalla penisola,specialmodo quest’anno in cui
Reality di Matteo Garrone è l’unico portabandiera la storia si ripete. Il giorno dopo la proiezione è un fiorire di report e giudizi sui media dai toni baritonali che evidenziano l’aderenza della pellicola alla fiera tradizione culturale del paese. La rassegna delle principali testate ci offre impressione fondata che
Reality abbia avuto accoglienza veramente generosa. Una prova inconfutabile proviene da
La Repubblica con le parole di Natalia Aspesi che scrive
,” Il nuovo bel film di Matteo Garrone è divertente e desolato visivamente magnifico e umanamente poetico “.
Natalia Aspesi
L’altro grande quotidiano
Il Corriere della Sera,per opinione di Paolo Mereghetti ne riassume la rilevanza facendo trasparire fondata idea di trovarsi innanzi un capolavoro concludendo così
.“ Il genocidio di un popolo e di una cultura di cui parlava Pasolini si è ormai compiuto e Garrone ce lo racconta con un film intenso e dolente ”. Trascina fermento di curiosità l’accostamento filologico a temi e figure basilari della storia culturale italiana,da una parte inducono ad un istantaneo riconoscimento dell’importanza di un nuovo lavoro,dall’altro tendono a favorire l’omologazione di questo con una certa ortodossia della tradizione. Tutto ciò potrà anche non essere un fattore indiscutibile quanto opportuno,ma gode sicuramente di pratica diffusa. Per l’appunto sul
Messaggero,Fabio Ferzetti usa metodi più pomposi e non meno persuasivi nel momento dove tira in ballo Fellini a questo modo
.” Il folgorante prologo di Reality è,una citazione dalla «Dolce Vita» che condensa in pochi minuti mezzo secolo di storia ”.
Paola Casella
In fondo possiamo catalogare gli amici delle unità cinefile come i praticanti più moderni di tecniche retoriche che promuovono,esaltano,ammansiscono le certezze del passato rievocandole nelle opere del presente. Prendiamo Maria Rosa Mancuso su
Il Foglio è esemplare nel rendere pratico questo principio teorico,
“«Reality» rende omaggio al cinema italiano “...” Il protagonista soffre degli stessi patemi d’animo di Anna Magnani in «Bellissima» di Visconti “. Per la verità non tutti hanno apprezzato il lavoro di Garrone,fra questi Paola Casella di
Europa Quotidiano,in un certo senso rappresenta il passaggio e la linea di confine con quello che poi dirà la stampa internazionale affermando,
“ il film,narrativamente parlando,finisce per essere né carne,né pesce “. Molto diverse le analisi e i punti di vista forniti dai media esteri che ci danno quasi sensazione di parlare di un altro film,tanto sono distanti da quelli italiani nelle valutazioni. Apre
Le Parisien,giornale della capitale francese,che definisce
“ l’ unico film italiano in concorso un po’ moscio e una delusione “ mentre l’altro quotidiano,prossimo a Cannes,
Nice Matin nella corrispondenza di Philippe Dupuy tiene a precisare che “«
Reality» è una commedia drammatica piuttosto banale ”.
Jay Weissberg
Pierre Murat di
Telerama si sofferma sullo stile esplicitando questa massima
,” Naturalmente bisogna amare
la commedia all’italiana dove si grida o si esagerano i sentimenti come a teatro,Garrone ci va giù forte moltiplicando eccessi e citazioni ”. Sul banco degli imputati la sceneggiatura che “
manca di forza facendo apparire tutto l’insieme una pittoresca caricatura “ per Caroline Vié,mentre ”
si poggia su pochi elementi e si dilunga troppo: alcune scene aggiungono poco o niente alla storia “. Nella considerazione dell’americano Jay Weissberg,
Reality non potrebbe avere vita se non considerassimo completamente
il suo dna dentro le vestigie del grande fratello
di orwelliana memoria oltre che del format tv. A molti è sfuggito un necessario confronto con i molti film che si sono susseguiti sull’argomento tracciando una via fecondamente evoluzionista a partire dal celebre
«Truman Show». Quale posto detiene nella circostanza il film italiano in uno scenario che tenga conto di rinnovati sentieri dell’arte cinematografica ? Molto puntuale viene in soccorso con appropriata empatia da dibattito festivaliero il periodico
Variety che suggerisce,“
14 anni dopo «Truman Show» se si deve parlare di questo tema bisognerebbe aggiungere qualcosa di più “. Non meno diverso nella sostanza
Le Figaro,“ minestra riscaldata sul contenuto del «Truman show di Peter Weir “,aggiungendo poi sconsolato,
“ Nulla di nuovo sotto al sole italiano e non si girano più film a Cinecittà già da tempo ”.